La Cultura dello Scarto

19 Maggio 2023 Off Di apisani

Come detto da Papa Francesco durante un’udienza generale a piazza San Pietro del 2013, il mondo è affetto dalla cultura dello scarto, perché “quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro”.

E come dargli torto se, ad esempio, ci fermiamo a riflettere sulla festa mostrata in TV negli stadi durante i recenti mondiali di calcio senza minimamente considerare, anzi volutamente trascurando, che per la costruzione di quelle stesse strutture dove venivano disputati, in nome dello show business, sono morte 6500 persone sul posto di lavoro o per malattie e disagi legati alle condizioni in cui dovevano operare – sotto il sole cocente del deserto, con turni infiniti e senza alcuna considerazione per la sicurezza e per la stessa dignità di quelle persone.

Ma ciò che maggiormente ha evidenziato la disattenzione verso quelle persone è stato il cinico atteggiamento della FIFA, l’ente organizzatore del Mondiale, e del Governo Qatariota che non solo non hanno risarcito le famiglie di quei lavoratori, provenienti soprattutto dal sud-est asiatico, ma addirittura ne hanno negato l’esistenza affermando che, per loro, sarebbero state solo 3 le persone mancate sul lavoro tra il 2010 e il febbraio 2021. Ciò nonostante in tantissimi hanno seguito l’evento con entusiasmo e interessandosi solo alle gesta sportive degli atleti in campo.

Di casi di sfruttamento delle persone e di totale assenza di considerazione per la dignità umana sono pieni i libri di storia.

Tuttavia, la cultura dello scarto a mio modo di vedere si è, per così dire, evoluta negli ultimi anni, in quanto se nell’antichità a “giustificare” questo modo di pensare esisteva l’idea di inferiorità vera e propria delle persone di alcune categorie sociali che venivano private di diritti civili e sfruttate, oggi, che quella mentalità non esiste più, emerge con chiarezza il carattere egoistico di questo atteggiamento.

Di fronte a catastrofi umanitarie, come la guerra tra Ucraina e Russia o le centinaia di vittime durante gli sbarchi nel Mediterraneo, molti individui non si sentono toccati emotivamente, perché quei fatti accadono in luoghi distanti dalla loro quotidianità e riguardano persone che (purtroppo) troppo spesso, magari mentre facciamo shopping, vediamo elemosinare per strada o vivere di espedienti e, per questo, pensano che non li riguardino, che non sia compito loro occuparsi di quei problemi  e non vogliono averci a che fare.

Ma esempi di frivole esigenze materiali anteposte al rispetto dei valori etici, che imporrebbero il rispetto per il nostro prossimo, li ritroviamo anche in momenti molto più vicini alla nostra quotidianità, come ad esempio nell’ambito lavorativo, in cui le persone sono disposte ad ostacolare in ogni modo i propri colleghi pur di ottenere anche un solo centesimo in più nella busta paga.

Per questo, le persone che mostrano qualche incertezza e non sanno essere spietate con il prossimo vengono scartate da quella parte della società che considera come parametro di riferimento del valore di una persona la sua ricchezza o la sua posizione sociale.

Questo comportamento estremo è chiaramente sbagliato perché, come diceva Don Matteo Rupil, il direttore dell’Oratorio Salesiano Rebaudengo, se ogni scelta della propria vita è rivolta solo verso sé stessi, ci si isola. L’uomo, essendo un animale sociale, ha bisogno di interagire fisicamente con gli altri per essere felice.

È necessario, quindi, pensare nelle nostre azioni anche al posto che hanno gli altri: sono solo un mezzo o sono lesi? Non vengono proprio calcolati? Oppure sono i beneficiari di quello che fai?

Personalmente ritengo che la terza opzione sia la migliore, perché, oltre a rendere felice il prossimo, fa provare anche a te un senso di soddisfazione e gioia forte.

Bisogna dire, però, che il donarsi completamente al prossimo implica l’utilizzo di molto tempo e, nel lungo periodo, porta a trascurare sé stessi e la propria salute. Esempio massimo di questo modo di pensare ed agire è stato San Francesco d’Assisi, che si è occupato, tra le tante persone che ha aiutato, di curare i lebbrosi, scartati ed emarginati dalla società dell’epoca, mettendo a repentaglio la sua stessa salute e facendosi ultimo tra gli uomini.

Sto ovviamente parlando di uno dei più grandi santi della Cristianità ma, senza ovviamente pretendere che si possa arrivare a quel livello, volevo evidenziare come oggi solo in pochi, se non pochissimi, sarebbero disposti a vivere in questo modo, anteponendo il prossimo a sé stesso avendo in mente solo i valori principali della vita. Forse è anche per questo che la società dello scarto di cui parla Papa Francesco è ancora radicata nel mondo.

E siamo forse condannati a vivere dentro di essa, dato che essa si è diffusa nella nostra cultura, ed è probabilmente insita nella stessa natura umana, e che non si può cancellare nonostante l’ammonimento di Gesù nel Vangelo secondo cui «gli ultimi saranno i primi».

L’unica soluzione, secondo me, per cercare di ridurre la “cultura dello scarto” sta nei piccoli gesti quotidiani fatti da ognuno di noi con amore verso il prossimo, soprattutto verso gli sconosciuti. Senza questo spirito ogni grande rivoluzione globale, come capitato in Russia nel 1917, si risolverà inevitabilmente in un sistema con cui alcuni proveranno a relegare qualcun altro nella posizione di ultimo.

Le parole di Papa Francesco possono riassumere il pensiero che ho provato ad esprimere in precedenza: “Una società è veramente accogliente nei confronti della vita quando riconosce che essa è preziosa anche nell’anzianità, nella disabilità, nella malattia grave e persino quando si sta spegnendo.”

Chiudo con un pensiero più leggero. A Napoli c’è una bellissima pratica, quella del “caffè sospeso”, che consiste nel pagare il caffè alla persona che viene dopo di te e che magari non può permetterselo. Una cosa da poco, ma che può mettere il sorriso anche a chi sta passando un momento difficile nella propria vita. Vita che è il valore che va messo al centro della società che dovrebbe essere alla base del mondo.

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