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1 Maggio 2023 Off Di apisani

Mercoledì 22 febbraio 2023 io e il mio compagno Alessandro Lee ci siamo recati presso la sede del dipartimento di Fisica dell’UniTo per svolgere una giornata da ricercatore medico. La proposta ci era pervenuta grazie alla professoressa Dellacqua; inizialmente, in realtà, questa opportunità era stata offerta anche a Emanuelle Baciu, ma i posti erano solo due. Per evitare che qualcuno si ritrovasse senza qualche dente, abbiamo deciso di affidare alla sorte chi sarebbe dovuto andare e la dea bendata ha scelto me. 

La giornata è iniziata verso le nove del mattino con una introduzione su cosa avremmo affrontato in quella giornata, oltre a una spiegazione su cosa fosse l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e di cosa si occupasse nello specifico la fisica medica. 

Questa disciplina, infatti, è una branca della fisica nucleare che si occupa di diagnosticare e curare i tumori. A spiegarcelo è stata Elena Gallo, una delle poche fisiche mediche presenti sul nostro territorio – sono circa 1200 i membri iscritti all’AIFM (Associazione Italiana di Fisica Medica e sanitaria). 

In particolare, il fisico medico si occupa di prescrivere i trattamenti che il paziente deve sostenere per individuare e distruggere i tumori; essi, in soldoni, prevedono l’utilizzo di due diverse particelle: 

  • Fotoni: trattamento più economico e semplice da effettuare, ma con la dose che non è estremamente precisa, con il rischio di andare a generare problemi nelle zone limitrofe a quella dell’azione; 
  • Protoni: molto più precisi, ma che prevedono costi maggiori, con tecnologie più difficili da trovare nelle cliniche. 

Per farlo capire al meglio, ecco qui un esempio svolto grazie a matRad, un’applicazione opensource sviluppata dal “Centro Tedesco di Ricerca sul Cancro DKFZ” di Heidelberg, che permette di calcolare e simulare al PC la dose di protoni o fotoni corretta per le operazioni, analizzando anche gli effetti sulle altre parti del corpo circostanti. 

Figura 1 Simulazione di intervento alla vertebra con fotoni
Figura 2 Simulazione di Intervento alla vertebra con protoni

Il caso analizzato è quello di un intervento a una vertebra, in cui la dose verrebbe irraggiata da tre fonti. Come si può vedere, nella Figura 1 sono presenti più parti in rosso, senza contare quella di azione, fatto che non è desiderabile per il nostro intervento; nella Figura 2, invece, gli effetti sono circoscritti all’area dove si deve agire. 

Queste dosi vengono somministrate al paziente attraverso un acceleratore lineare di particelle, di cui potete vedere un’immagine di un esemplare smontato qui a fianco.

Il funzionamento è abbastanza semplice. Un piccolo filamento di metallo viene riscaldato e produce fotoni per ionizzazione. Essi poi vengono accelerati grazie a uno scompenso di cariche elettriche, che porta queste particelle a muoversi nel tubo in cui sono contenute. Il fascio arriva a uno specchio che si riflette sul corpo del paziente; la forma di esso viene regolata ovviamente in base alla forma del tumore, ottenendo la forma desiderata con delle lamelle di piombo che scorrono una sull’alta fino ad ottenere quella desiderata. 

Dopo la fine della lezione teorica, i professori Sacchi e Giordanengo ci hanno portato a visitare i laboratori del Dipartimento, dove abbiamo incontrato dei ricercatori che ci hanno parlato dei progetti che stavano portando avanti. 

Per concludere la mattina, ci siamo collegati con il CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica), dove si trova l’unico dei pochi acceleratori di particelle italiano simile a quello del CERN di Ginevra. 

Dopo il pranzo, sono arrivati anche i giornalisti del TG3 per un servizio da mandare in onda qualche giorno dopo. Sono andato vicinissimo a essere intervistato, ma un ragazzo dell’Istituto Agnelli mi ha fregato il posto. Puoi comunque vedere qui sotto il video che ci hanno gentilmente mandato gli organizzatori (Link).  

Mi sono redento, per così dire, quando mi sono proposto di spiegare a dei completi sconosciuti provenienti dall’Iran e dall’Egitto cosa avevamo fatto in quella giornata, anche alla presenza di una ricercatrice proprio del CERN. Il problema è che dovevo parlare chiaramente in inglese di argomenti di cui non conoscevo né il funzionamento né la terminologia. Per carità, non è che non avessi appreso niente, ma non sapevo padroneggiarlo come una qualsiasi opera di uno scrittore inglese. 

Alla fine, nonostante l’ansia, me la sono cavata più che bene. Dopo questo momento, la giornata è terminata e siamo tornati tutti a casa. Sicuramente, questa masterclass mi ha insegnato molte cose interessanti su un argomento di cui non sapevo niente, ma credo che non sarà questa la strada che sceglierò per il mio futuro, perché sono facilmente impressionabile quando si parla di organi e operazioni mediche.

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