Gli Anni di Piombo

Gli Anni di Piombo

12 Aprile 2023 Off Di apisani

Questa ricerca è stata redatta da me e da Sara Saccenti. Qui, il link al sito che abbiamo creato per presentare l’eleborato: https://sites.google.com/view/gli-anni-di-piombo/home

L’immagine in copertina è stata presa dalla seguente pagina: https://it.wikipedia.org/wiki/Anni_di_piombo

Contesto Storico

Dal ‘68 all’ ‘82

L’Italia uscì dalla guerra distrutta; molte città erano da ricostruire, per non parlare delle quasi 500’000 vittime tra militari e civili e il danno morale dentro tutti gli italiani.

Come detto nell’articolo della situazione economica, che vi invitiamo a leggere, l’Italia grazie alle sue nuove alleanze riuscì a ripartire in maniera incredibile per gli uomini dell’epoca.

Alla spinta di modernizzazione contribuì anche il movimento giovanile, composto dai “baby boomers”, i ragazzi nati nel dopoguerra, che si mobilitarono per cambiare la società. Ad esempio, molti ragazzi e ragazze, in seguito all’alluvione di Firenze del 1966, si recarono nella città gigliata per portare soccorso agli alluvionati.

Nel 1968, iniziò l’azione del movimento studentesco, insieme all’intensificazione delle lotte operaie, fattori che porteranno gli storici a denominare questo periodo “autunno caldo”. Questo generò delle resistenze in alcune parti dell’opinione pubblica, in particolare da coloro che disapprovavano la situazione di conflittualità permanente nelle fabbriche e nelle scuole, come il comportamento anticonformista del movimento giovanile, volendo difendere i valori e i comportamenti tradizionali.

D’altra parte, si stava sempre di più affiancando alla protesta spontanea e di massa del movimento una radicalizzazione politica; nascevano sempre più gruppi che, accomunati dal riferimento al marxismo, concepito come base teorica della lotta rivoluzionaria, alimentavano un aggressiva violenza contro sindacati e partiti della sinistra tradizionale.

In questo contesto, va inserita la strage di piazza Fontana, descritto all’interno di un altro articolo sul nostro sito. Fu con questo attentato che hanno inizio gli “anni di piombo”, fenomeno che insanguinò il nostro paese, portando alla morte di 113 persone.

Il terrorismo, in Italia, assunse due forme. Ci fu un terrorismo “nero”, di marca fascista che insanguinò il paese con una serie di attentati diretti a colpire la popolazione e a spargere il terrore con orribili stragi. L’altro fu un terrorismo “rosso” praticato da grupi di estrema sinistra che attutarono decine di rapimenti, ferimenti e omicidi.

Gli “anni di piombo” si conclusero con la promulgazione della legge numero 304 del 29 maggio 1982. In essa si dice che “non sono punibili coloro che, dopo aver commesso, per finalita’  di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, uno o piu’ reati […]:

    a)  disciolgono  o,   comunque,   determinano   lo   scioglimento

dell’associazione o della banda;

    b) recedono dall’accordo, si ritirano dall’associazione  o  dalla banda, ovvero si consegnano senza opporre resistenza  o  abbandonando le armi  e  forniscono  in  tutti  i  casi  ogni  informazione  sulla struttura e sulla organizzazione dell’associazione o della banda.”

Ciò era già in parte consentito dalla legge n.15 del 6 febbraio 1960; all’introduzione di queste leggi seguì il pentimento di diversi membri delle varie associazioni terroristiche. Si chiuse, così, una delle pagine più buie della storia del nostro paese.

Situazione Economica

Nella situazione immediatamente anteriore agli anni di piombo, l’Italia visse una delle situazioni migliori della sua storia: il boom economico. Difatti, il nostro paese riuscì a rialzarsi dalle rovine della seconda guerra mondiale, ponendosi tra le maggiori potenze mondiali nel giro di pochi anni. Proprio per questo si tutt’oggi si parla di “Miracolo Economico Italiano”.

Ciò fu dovuto a diversi fattori; uno fu sicuramente il “Piano Marshall”, un progetto di vasta ricostruzione dei Paesi europei devastati dalla Seconda guerra mondiale, messo in atto dagli Stati Uniti tra il 1947 e il 1951, con un finanziamento totale di quasi 13 miliardi di dollari.

Inoltre, in questi anni l’Italia entrò a far parte delle maggiori organizzazioni internazionali che erano nate poco tempo prima: l’ONU, la NATO, che avvicinò il nostro paese agli USA e ai suoi interessi, e la CEE, predecessore dell’UE, che abolì, grazie al Mercato Europeo Comune (MEC), i dazi sulle merci tra i paesi contraenti (all’epoca solo Italia, Lussemburgo, Belgio, Germania, Francia e Olanda).

A questa situazione di grande forza della nostra storia, seguirà, una decina di anni dopo, un periodo all’opposto; durante il periodo stesso degli anni di piombo, a causa dello squilibrio monetario dovuto alla fine degli accordi di Bretton Woods e allo shock petrolifero, le cui cause furono simili a quelle che hanno portato allo shock energetico dei nostri giorni, portarono il mondo in una nuova crisi.

Questa crisi, però, era diversa dalle altre: infatti, i provvedimenti che potevano essere presi per fronteggiare questi avvenimenti erano di carattere opposto. Infatti, per attenuare l’inflazione, che raggiunse il suo massimo nel 1980 con il 21,1% (iper-inflazione), bisogna adottare provvedimenti di politica monetaria restrittiva, riducendo la spesa pubblica e aumentando la pressione fiscale. Invece, la crisi petrolifera, che aveva comportato una riduzione della produzione nazionale e il rincaro dei prezzi, poteva essere contrastata con dei provvedimenti di tipo espansivo, quindi immettendo nel mercato sempre più moneta per rilanciare l’economia, riducendo i tributi e aumentando la spesa pubblica.

Come si può notare da quanto esposto, come si toccava una cosa, si aggravava l’altra. Questa particolare situazione, in cui inflazione e recessione coesistono, viene chiamata dagli economisti “stagflazione”.

Cosa fecero allora i Governi del nostro paese? Uno dei provvedimenti più importanti fu quello della “scala mobile”, strumento che adeguava automaticamente il reddito dei lavoratori dipendenti alla crescita dei prezzi, la cui efficacia era stata rafforzata nel 1975 dall’introduzione del “punto unico”; ogni salario subiva un aumento delle stessa quantità indipendentemente dalla quantità che esso fosse. Ciò avvantaggiò coloro che percepivano redditi più bassi, i quali crescevano proporzionalmente di più.

In più,  l’uscita dalla crisi fu possibile grazie ad altre condizioni, interne ed internazionali:

  • il grande sviluppo del settore terziario, quello dei servizi, sia nel pubblico che nel privato;
  • le ristrutturazioni aziendali, che introdusse lavorazioni sempre più automatizzate;
  • il decentramento produttivo, dato che parte delle produzioni passarono alle piccole e medie imprese o, sfortunatamente, al mondo dell’economia sommersa e del lavoro in nero.

Si affermano, quindi, quelle che sono le teorie neoliberiste a discapito di quelle keynesiane; promuovevano la riduzione dell’intervento dello Stato nell’economia, grazie a 2 strumenti:

  • liberalizzazione dei servizi offerti dallo Stato;
  • privatizzazione delle imprese pubbliche.

Pur migliorando, la situazione rimase non ideale: il debito pubblico era ancora maggiore del PIL; i servizi dello Stato non erano efficienti, causando molti disagi; lo scarso investimento nella ricerca scientifica e la quasi inesistente produzione tecnologica non permisero all’Italia di competere ad alto livello nei mercati internazionali.

La politica italiana

I Partiti

Democrazia Cristiana:

Il partito della Democrazia Cristiana nacque clandestinamente nell’ottobre del 1942 a Milano da Enrico Falck, Alcide de Gasperi, Achille Grandi, Stefano Jacini e Giovanni Gronchi. L’idea era quella di creare un nuovo partito di ispirazione cristiana, che potesse raccogliere l’eredità del Partito Popolare Italiano, movimento di stessa matrice scioltosi 20 anni prima.

In seguito all’armistizio del 1943, il partito potè uscire alla luce, riuscendo a ottenere molti consensi nella popolazione, anche grazie all’adesione al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN); ciò gli consentì di essere presente all’interno dei primi governi dopo la caduta del fascismo, che non furono molto efficaci.

Così, il 10 Dicembre del 1945 nacque un nuovo Governo, il primo a guida della DC, in particolare di De Gasperi, che mantenne il timone dei governi del paese fino al 1981.

Fondamentale per questo primo Governo fu la data del 2 Giugno 1946: gli italiani in questa data furono chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica, che, come sappiamo, vincerà con il 54,3% dei voti. Venne, inoltre, votata la composizione dell’Assemblea Costituente, dove prevalse sempre la DC, che ottenne il 35,21% dei seggi.

Nei successivi 40 anni di governo, i governi guidati dalla DC presero decisioni fondamentali per la storia del nostro paese: l’adesione all’ONU, alla NATO, alla CECA (Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio), l’organo che sarà alla base della moderna UE.

A livello legislativo, fondamentale fu la Legge 1º dicembre 1970, n. 898, fatta sotto il governo Colombo, e la successiva Legge 19 maggio 1975, n. 151, con cui venne reso legale il divorzio in Italia, oltre che furono applicati per la prima volta quei principi degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione che per quasi 30 anni erano rimasti lettera morta.

Da ricordare, inoltre, l’approvazione, sotto il Governo Rumor III, dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), che introdusse importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro e i lavoratori, con alcune disposizioni a tutela di questi ultimi e nel campo delle rappresentanze sindacali.

Infine citiamo per ultima, ma non per importanza, la legge che rese legale l’aborto in Italia, la Legge 22 maggio 1978, n. 194.

Questi governi, però, convissero con tutto il periodo degli anni di piombo, da cui furono lesi in molti casi; il più eclatante fu quello del sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, di cui parliamo in un’altro articolo sempre su questo sito. Pochi anni dopo, nel 1981 la DC deciderà di lasciare la guida del Governo dopo 36 anni consecutivi, pur rimanendo nei partiti della maggioranza. Iniziò un lento declino, il cui punto di non ritorno sarà lo scandalo Tangentopoli. Il 18 gennaio del 1994, dopo più di 50 anni di vita, la Democrazia Cristiana si sciolse nel Partito Popolare Italiano e Centro Cristiano Democratico.

Partito Comunista Italiano:

Il Partito Comunista nacque in seguito alla scissione della parte di ideologia più riformista del partito socialista. Difatti, nel 1921, durante il XVII congresso del PSI a Livorno, fu deciso di espellere i membri di posizione più rivoluzionari del partito; questi decisero allora di riunirsi al teatro San Marco, fondando il PCI, con guida Amadeo Bordiga. Questa decisione era maturata in seguito alla pubblicazione da parte dell’Internazionale Comunista, l’organizzazione che all’epoca univa tutti i partiti comunisti del mondo, del regolamento per essere ammessi nell’organizzazione. Il secondo punto esigeva la rimozione sistematica dei membri riformisti dai partiti.

I gruppi che si unirono in questo nuovo partito furono: gli astensionisti, che facevano proprio capo a Amadeo Bordiga; 5 membri della redazione de L’Ordine Nuovo, di cui faceva parte Gramsci; parte della corrente massimalista; e la stragrande maggioranza della FGSI (Federazione Giovanile Socialista Italiana).

Dopo pochi anni, però, venne sospeso dal regime fascista, continuando ad agire in maniera clandestina in Italia, anche se in molti decisero di fuggire all’estero, soprattutto in Francia e URSS. In particolare, nel paese sovietico il capo del partito strinse i rapporti con il potere di Mosca, soprattutto quando Stalin prese il potere.

Con la crescita del potere nazista, l’Internazionale Comunista capì che bisognava cambiare le carte in tavola: così tra 1934-35, propose l’unione di tutti i pariti che credevano negli ideali del marxismo. Ciò obbligò il PCI a unirsi agli odiati ex-compagni dei socialisti, portando quindi la linea politica dei comunisti ad appiattirsi sulle posizioni dell’Internazionale Comunista.

Pochi anni dopo, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Il PCI continuò la sua azione clandestina, che venne alla luce dopo l’Armistizio e la destituzione di Mussolini. Fu deciso di porre a Roma la sede del partito, agendo direttamente sotto le volontà di Palmiro Togliatti, il capo del PCI.

Da qui, partiranno gli ordini diretti alle Brigate Garibaldi, una delle formazioni partigiane che, insieme al Comitato di Liberazione Nazionale, contribuirono alla liberazione del Nord Italia.

Arriviamo così al 2 Giugno 1946, dove alle elezioni politiche il PCI ottenne il 18,93% dei voti. Dopo la sconfitta della lista unita PSI/PCI alle elezioni politiche del ‘48, il partito nei successivi anni resiste, ma non riesce mai a prendere le redini del Governo dello Stato, saldamente in mano alla DC, che vedeva nei comunisti come dei “nemici interni”, per via della vicinanza all’Unione Sovietica, il nemico con la N maiuscola della Guerra Fredda.

Si sentiva, però, nell’aria un clima di apertura da parte di entrambi i partiti; ciò portò i capi dei due partiti, Enrico Berlinguer (PCI) e Aldo Moro (DC), al compromesso storico, termine che indica un periodo in cui questi due partiti si riavvicinarono togliendo il gelo che aveva caratterizzato il periodo precedente. Celebre fu l’incontro del 28 giugno 1977, di cui rimane stampata nella memoria comune la stretta di mano che i due capi partiti si scambiarono.

Il tentativo alla fine si rivelò fallimentare, dato che non portò mai il Partito Comunista a partecipare al governo in una grande coalizione. Il PCI tornò quindi all’opposizione, raggiungendo l’apice quando, nel 1983, si formò il primo Governo della storia della Repubblica di matrice socialista, guidato da Craxi, capo del PSI.

Il partito, insieme a tutto il paese, venne scosso, però, dall’improvvisa morte del suo segretario Berlinguer per un ictus durante un comizio a Padova per le elezioni europee – a quelle elezioni il PCI raggiunse il suo massimo risultato (33,3% dei voti), sorpassando, seppur di poco, per la prima e unica volta la DC (33,0% dei voti), per cui i commentatori parlarono di un «effetto Berlinguer».

Al sardo seguiranno Alessandro Natta e Achille Occhetto, che accompagneranno il partito verso la sua fine; processo che è chiamato “svolta bolognina”, che ebbe inizio nel 1989 e si concluse il 3 febbraio 1991, quando il PCI deliberò il proprio scioglimento, rifondandosi con il nome di Partito Democratico di Sinistra – l’attuale PD. Un centinaio di membri, però, non aderirono al nuovo partito, dando vita al Partito di Rifondazione Comunista.

Partito Socialista Italiano:

Nacque a Genova nel 1892, fondandosi sull’esperienza socialista sia di ispirazione riformista che marxista, con il nome di Partito dei Lavoratori Italiani. 4 anni dopo venne fondato l’“Avanti!”, il giornale di propaganda del partito, che ancora oggi è in attività. I primi anni del partito furono di lotta nelle piazze, con proteste che vennero sempre represse duramente dai vari Governi.

Con la fine della guerra, iniziò sempre di più a perdere pezzi. A staccarsi per primi furono i sindacalisti rivoluzionari, espulsi, in realtà, già nel 1907. Dopo la guerra, Mussolini, fondò i Fasci italiani di combattimento, il futuro Partito Nazionale Fascista.  Infine, come già detto in altri testi, nel 1921, in seguito al congresso di Livorno, avvenne la scissione dell’ala riformista del partito, che fonderà il PCI.

Il PSI cambiò nome e guida nel 1922, divenendo Partito Socialista Unitario sotto la guida di Matteotti. Il neo segretario, però, in seguito al suo discorso politico di denuncia delle violenze e dei brogli elettorali perpetrati dai fascisti, venne rapito e ucciso da una squadraccia di Mussolini. Questo gesto preannunciò quella che sarà la soppressione del PSU, che costrinse all’esilio i membri che fortunatamente non erano in carcere o al confino.

Durante la militanza del partito all’estero, il partito si riunì con i massimalisti, ritornando alla denominazione di PSI. Nel 1943 a Roma, in seguito a molte consultazioni svolte in segreto, rinacque sul territorio italiano il partito, partecipando attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale, avvicinandosi in particolare al PCI con una politica di unità d’azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista.

Alle elezioni del 2 giugno ‘46, il PSI ottenne poco più del 20% dei voti da parte degli italiani. Alle elezioni del 1948 il PSI si presentò, nonostante i molti pareri contrari nel partito, insieme al PCI, incorrendo in un sonoro fallimento. I due partiti rimasero alleati all’opposizione per ben 10 anni, quando, in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria e alla rottura col PCI, il PSI cominciò a guardare favorevolmente all’alleanza con i moderati della DC, entrando con loro per la prima volta nella storia (1963) nella coalizione di maggioranza al Governo, durante l’esecutivo di Aldo Moro, dando il là alla stagione del “centro-sinistra”.

Questo “distacco” dalla PCI e dai suoi ideali si concretizzò definitivamente nel 1978, quando fu pubblicato per volontà di Bettino Craxi – assunse il ruolo di segretario nel ‘76 – “Il Vangelo Socialista”, in cui con il quale si sancì la svolta ideologica, con lo smarcamento dal marxismo, appannaggio di un percorso culturale distinto da quello del PCI e che prende le mosse da Proudhon evolvendosi col socialismo liberale di Carlo Rosselli. Inoltre, il simbolo del partito passò da essere la tradizionale falce e martello, tolte definitivamente dal logo nel 1985, al garofano rosso, ripreso dalla tradizionale iconografia pre-bolscevica dell’800.

Il profondo cambiamento portò fortuna ai socialisti, che dopo la parentesi dei governi di Pentapartito (PSI, DC, socialdemocratici, partito liberale, partito repubblicano), nel 1983 raggiunge l’apice della sua storia: il primo governo a guida socialista con Craxi presidente del Consiglio.

Dopo lo scioglimento del PCI nel 1991, Craxi accolse in una nuova alleanza, denominata “Unità Socialista”, i membri del PDS, oltre che i socialdemocratici del PSDI. I risultati sembrarono arrivare, ma sopra le teste del PSI pendeva una spada di Damocle. Infatti, l’anno dopo scoppiò il caso Tangentopoli, che colpì tutti i partiti della Prima Repubblica.

Craxi si dimise, cosa che si tradusse nella fine del partito, che si sciolse definitivamente il 13 novembre 1994; da quel giorno iniziò la diaspora socialista in Italia.

A differenza degli altri due partiti analizzati, però, il PSI vede una luce in fondo al tunnel. Infatti, nel 2007, sotto la guida di Enrico Boselli, venne ricostituito il partito, aperto alle forze laiche di sinistra moderata e democratica che non si riconoscevano nel PD.

I Volti

Aldo Moro:

Nato a Maglie, in provincia di Lecce, il 23 settembre 1916, Aldo Moro apparteneva a una famiglia della classe media. Si diplomò al Liceo Classico Archita di Taranto, optando per il prosieguo degli studi per la facoltà di Giurisprudenza a Bari, laureandosi del 1938.

I suoi primi lavori furono sempre nell’ateneo, in particolare in aiuto del professore Biagio Petrocelli, che lo aveva guidato nella tesi di laurea magistrale, per poi nei primi anni della guerra svolgere l’incarico di professore incaricato di diverse materie; nel ‘51 ottenne la carica da professore ordinario di diritto penale sempre a Bari.

Intanto, nel 1935 si era unito alla Federazione universitaria cattolica italiana di Bari, di cui divenne presidente 4 anni dopo, su consiglio non proprio di una persona qualunque: monsignor Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI.

Mantenne la carica fino al ‘42, quando venne chiamato alle armi, svolgendo prevalentemente incarichi d’ufficio. Finita la guerra, sposò a Montemarciano, vicino ad Ancona, Eleonora Chiavarelli, da cui ebbe 4 figli: Maria Fida, Anna, Agnese e Giovanni.

La sua attenzione per la politica iniziò già durante la guerra, nel 1942 circa, quando si riuniva clandestinamente nella casa di Giorgio Enrico Falck, insieme a  coloro che furono i fondatori della DC, contribuendo alla sua nascita un anno dopo.

Nel neonato partito, Moro mostrò subito la sua tendenza democratico-sociale, aderendo quindi alla componente dossettiana di esso; gli venne assegnata la direzione della rivista “Studium”, un periodico di ispirazione cattolica, oltre che il ruolo di presidente del “Movimento laureati di azione cattolica”.

Nel ‘46 diviene vicepresidente della DC, oltre a essere eletto membro dell’Assemblea Costituente, di cui il Partito aveva la maggioranza dei seggi. Dalle elezioni del 1948 in poi, Moro ricoprì diversi incarichi tra Parlamento e Senato, tra cui anche il Ministro di Grazia e Giustizia (‘55-’57) e della Pubblica Istruzione (‘57-’59).

Nel 1959, in seguito alle dimissioni di Amintore Fanfani da segretario del partito e da presidente del Consiglio, il Consiglio Nazionale della DC elesse Moro come nuovo segretario.

Alle elezioni del 1963, vinse ancora una volta la DC. L’incarico di formare un nuovo Governo fu affidato a Moro, il cui primo Governo durò meno di 1 anno. Primo governo con la presenza dei socialisti alla maggioranza, il programma fu molto ampio, ma poco concreto. Fun fact: sotto il Governo Moro I nacque il Molise (1963), scorporata dalla precedente Abruzzi e Molise. Quindi c’è un fondamento storico sul “meme” del Molise che non esiste.

Tornando seri, come ho detto il primo governo Moro finì nel 1964, quando, in seguito alla sconfitta della maggioranza per l’approvazione del bilancio del Ministero della pubblica istruzione riguardante il finanziamento dell’istruzione privata, il Presidente del Consiglio rassegnò le dimissioni.

Nel periodo di transizione tra il primo e il secondo Governo Moro, poco meno di un mese, si ebbe lo spauracchio di un possibile colpo di Stato da parte del Presidente della Repubblica Segni e l’Arma dei Carabinieri, il cosiddetto “Piano Solo”, un piano di emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico predisposto da Giovanni de Lorenzo, comandante generale dei Carabinieri, ma mai attuato.

La vicenda si risolse con il PSI guidato da Pietro Nenni che fece dei passi indietro sul suo programma di riforme per restare alla maggioranza. Si aprì così il Moro II (‘64-’66), a cui seguì il Moro III (‘66-’68), in cui si furono inaugurati l’A1 e il traforo del Monte Bianco, oltre che fu approvata, in seguito all’alluvione di Firenze del 1966 la legge Mancini, ancora oggi in vigore, che stabilisce la partecipazione dei privati alle spese di urbanizzazione e avviava una estesa applicazione dei piani urbanistici cercando di garantirne il rispetto per porre un freno allo sviluppo edilizio incontrollato.

Dal 1968 fino al 1972, Aldo Moro fu Ministro degli Esteri, riuscendo anche qui a lasciare il segno, soprattutto per il “Lodo Moro”: patto segreto di non belligeranza tra Italia e Palestina, e in particolare con Yasser Arafat, in cui veniva promesso che l’Italia non sarebbe stata oggetto di attacchi terroristici da parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP).

Dopo una candidatura a presidente della Repubblica poco fortunata, Moro tornò a essere presidente del consiglio per altri 2 governi. Tra le varie cose fatte, ricordiamo il “compromesso storico”, fatto in qualità di segretario del partito, ovvero quel momento della storia italiana in cui DC e PCI si riavvicinarono sul piano politico dopo quasi 30 anni di gelo politico, che però si rivelò inutile.

Questi effetti, tuttavia, Moro non li vide mai perché il 16 marzo 1978, in seguito a un agguato in via Fani a Roma, venne rapito dalle Brigate Rosse. Dopo 55 giorni di prigionia, venne ritrovato il cadavere in una Renault 4 rossa in via Caetani, un posto non casuale poiché vicino sia a piazza del Gesù (dov’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana) sia a via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano).

Il 13 maggio si tenne il funerale nella basilica di San Giovanni in Laterano, presieduto dal cardinale vicario di Roma Ugo Poletti e, eccezionalmente, dal Papa Paolo VI, amico di Moro fino dai tempi del FUCI. Al funerale non era presente il feretro per scelta della famiglia, che a sua volta non partecipò per protesta contro lo Stato, ritenuto molle nelle trattative per salvare lo statista; anche per questo, rifiutarono i funerali di Stato.

Enrico Berlinguer:

Nacque a Sassari, in Sardegna, il 25 Maggio 1922; la sua famiglia era benestante, per via del lavoro del padre (avvocato) e le discendenze familiari, riconducibili alla nobiltà sarda.

La sua infanzia fu segnata dall’inasprimento della malattia della madre, una encefalite letargica che le provocava diverse deformazioni fisiche, distruzione del sistema nervoso e confusione mentale, che l’avrebbe condotta alla morte nel 1936.

Appassionato di filosofia fin da ragazzo, dopo aver studiato al liceo classico Domenico Alberto Azuni, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza nel 1940, che, però, non concluse.

Nel mentre, Berlinguer iniziò a frequentare i locali dove si riunivano gli antifascisti, venendo a contatto con gli strati popolari urbani, da cui fu colpito tanto da iscriversi nel 1943 al PCI, divenendo segretario della sezione di Sassari della Gioventù Comunista.

In seguito alla Svolta di Salerno, ovvero il compromesso tra antifascisti, monarchia e Badoglio, il giovane Enrico grazie al padre conobbe Togliatti, il segretario del PCI dell’epoca, destando una buona impressione; per questo, ottenne un lavoro nel partito, come funzionario dirigente del lavoro giovanile nella Federazione romana.

Era un gran lavoratore, tanto che in pochi anni si guadagnò incarichi sempre più importanti, divenendo il segretario del Fronte della Gioventù nel 1946 e 2 anni dopo, addirittura, della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica.

La sua ascesa politica proseguì con qualche intoppo, ma non ha molti problemi grazie alla fiducia che aveva nei suoi confronti Togliatti. Nel mentre, il 26 settembre del 1957 al Campidoglio a Roma si sposò con Letizia Laurenti, con la quale ebbe 4 figli (Biancamaria, Maria Stella, Marco e Laura) e che gli stette al fianco fino alla morte.

Nel ‘68, il PCI decise di candidarlo come capo-lista del Lazio, venendo eletto con ben 151 mila preferenze. Il grande passo arrivò 4 anni dopo, quando, durante il XIII congresso del PCI, gli venne affidata la segreteria del partito.

Tutto andava a gonfie vele per Berlinguer, quando, in suo viaggio in Bulgaria, ebbe un incidente; mentre si stava recando all’aeroporto di Sofia, la macchina in cui viaggiavano il segretario del PCI e i suoi collaboratori venne tranciata da un camion militare. Fortunatamente, Berlinguer ne uscì praticamente illeso, solo con qualche ferita per cui dovrà sostenere un periodo di convalescenza, mentre rimase ucciso il suo interprete – più avanti si pensò che fu un incidente architettato dal KGB e i servizi segreti bulgari per togliere di mezzo l’italiano, il quale aveva avuto forti screzi ideologici con Brežnev, all’epoca segretario generale del Partito Comunista dell’URSS.

Dopo il periodo di convalescenza citato, Berlinguer pubblicò nello stesso anno 3 articoli fondamentali per la storia della politica italiana:

  • Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni;
  • Via democratica e violenza reazionaria;
  • Alleanze sociali e schieramenti politici

Questi articoli sono considerati la base di quello che è conosciuto come “compromesso storico”, ovvero quel momento della storia italiana in cui DC e PCI si riavvicinarono sul piano politico dopo quasi 30 anni di gelo politico – alla fine si rivelerà inefficace (per scoprire di più, leggi la storia del PCI).

Si delineò così la politica della segreteria Berlinguer: da un lato il tentativo di collaborare con la Democrazia Cristiana nella prospettiva di realizzare riforme sociali ed economiche che il leader del PCI considerava indispensabili; dall’altro la volontà di rappresentare un nuovo comunismo indipendente dall’URSS, collaborando con i Partiti comunisti di Francia e Spagna, secondo ciò che oggi chiamiamo “eurocomunismo”.

Berlinguer mantenne la carica di segretario fino al 1984, anno della sua morte. Difatti, il 7 giugno di quell’anno, durante il comizio che stava tenendo a Padova in vista delle elezioni europee che si sarebbero tenute di lì a poco, venne colpito da un ictus. Portò lo stesso a termine il discorso, di cui si può vedere il video attraverso questo link (Berlinguer Malore a PAdova). Appena rientrato in albergo entrò in stato di coma. Dopo 4 giorni di agonia, l’11 giugno Berlinguer si spense all’età di 62 anni a causa di un’emorragia cerebrale. I suoi funerali furono svolti 2 giorni dopo a Roma, con un’affluenza di più di un milione di persone, a cui parteciparono anche altre figure del comunismo nel mondo (Gorbačëv, Zhao Ziyang, Arafat, Carrillo, Marchais), oltre che il segretario del Movimento Sociale Italiano (partito d’ispirazione neofascista) Giorgio Almirante.

Bettino Craxi:

Nacqe a Milano il 24 febbraio 1934, figlio dell’avvocato messinese Vittorio Craxi, antifascista e, per questo, perseguitato politico. Durante la guerra, la famiglia lo mandò a studiare al collegio cattolico Edmondo De Amicis di Cantù, sia per cercare di quietare il suo carattere turbolento, sia per proteggerlo dai pericoli che la famiglia correva per la sua attività politica contro il fascismo – curiosità: da giovane Bettino, per via dei molti anni trascorsi in collegi cattolici, pensò di entrare in seminario.

Grazie al padre, ebbe i primi contatti con il partito socialista, candidato nella lista unita PSI-PCI; all’età di 17 anni si iscrisse ufficialmente al partito, di cui diverrà un funzionario per la sezione di Lambrate, quartiere milanese.

Negli anni dell’università, iniziò a tenere i primi discorsi pubblici, organizzò conferenze, dibattiti e proiezioni cinematografiche. Entrò a far parte di alcune amministrazioni comunali di varie cittadine lombarde, non dimenticando, però, il partito, divenendo membro nel 1957 del Comitato Centrale come rappresentante della corrente autonomista di Pietro Nenni, che rivendicava l’indipendenza del PSI dal PCI. Rimase all’interno di esso fino al 1961, quando venne estromesso da Francesco De Martino.

Nel 1968 entrò per la prima volta in parlamento, grazie alle quasi 24000 preferenze che ottenne dal collegio di Milano-Pavia. Nel 1970 divenne il vice segretario nazionale del PSI, promuovendo fortemente il suo ideale autonomista, auspicando l’idea di un centro sinistra organico, quindi coalizzandosi con la DC; ebbe questo ruolo per 4 anni. Le elezioni del ‘76 furono un disastro per il partito, dato che i voti dei rivali del PCI erano aumentati in maniera impressionante (34,37%), mentre il PSI scese sotto il 10%.

C’era bisogno di un cambio nel partito, una nuova identità. Il compito, e quindi la carica di segretario, fu affidata a Bettino Craxi, che non deluse le attese e attuò nel concreto l’autonomismo di Nenni: Il 27 agosto 1978 pubblica su L’Espresso “Il Vangelo Socialista, documento in cui viene sancita la svolta ideologica del partito, con lo smarcamento dal marxismo per avvicinarsi al pensiero di Proudhon e Rosselli.

Questa fu la frattura definitiva tra PSI e PCI; contrasti già noti tra i due partiti, manifestati aspramente pochi mesi prima con il Caso Moro. Infatti, Craxi fu l’unico leader politico, insieme ad Amintore Fanfani e Marco Pannella, a dichiararsi disponibile a una “soluzione umanitaria” che consentisse la liberazione dello statista democristiano, attirandosi addosso le pesanti critiche del cosiddetto “partito della fermezza”, guidato innanzitutto dai comunisti.

Craxi mantenne la guida del partito, arrivando finalmente nel 1983, grazie al supporto del Pentapartito (Alleanza tra DC, PSI, PSDI, PRI, PLI), a essere incaricato di formare un Governo, il primo a guida socialista della storia della Repubblica. Tra il primo (‘83-86) e il secondo (‘86-’87) governo Craxi, furono promulgate leggi importanti:

  • il taglio di tre punti di contingenza della “scala mobile”, sistema descritto in nell’articolo della situazione economica degli anni di piombo visionabile cliccando qui;
  • l’inflazione nel periodo 1983-1987 scese dal 12,30% al 5,20%, e lo sviluppo dell’economia italiana vide una crescita dei salari (in quattro anni) di quasi due punti al di sopra dell’inflazione portando l’Italia divenne il quinto paese industriale avanzato del mondo, ma raddoppiando il debito pubblico (234 a 522 miliardi di euro al valore corrente nel 2006);
  • con il “decreto Berlusconi” portò allo sviluppo delle televisioni commerciali a discapito del monopolio RAI, stabilendo la legalità delle trasmissioni delle televisioni dei grandi network privati;

Se nella politica interna tutto andò a gonfie vele, in quella estera Craxi fu più sfortunato. La crisi di Sigonella costituisce il caso più emblematico; Italia e Stati Uniti ebbero uno scontro diplomatico su chi avesse la giurisdizione dell’attentato avvenuto tra il 7 e l’8 ottobre del 1985 di uno statunitense sull’Achille Lauro, nave da crociera italiana. La vicenda si risolse, ma portò alla crisi di Governo tra Craxi I e II.

Dopo il 1987, Craxi ottenne incarichi importanti all’ONU, mantenendo sempre la guida del partito. Arrivò, poi, l’anno fatidico per Bettino Craxi: il 1992, quando scoppiò il caso Mani Pulite. Il PSI, e non solo, venne ricoperto di avvisi di garanzia, 11 solo a Craxi, perdendo così nel 1993 la carica di segretario del partito.

Craxi era con le spalle al muro. Scelse allora di eludere la giustizia, scappando ad Hammamet in Tunisia nel 1994. Dichiarato ufficialmente latitante un anno dopo, morì il 19 gennaio 2000 in seguito a delle complicazioni di salute. I funerali furono celebrati nella cattedrale di Tunisi pochi giorni dopo per scelta della famiglia, delusa dallo Stato che non aveva permesso poco tempo prima il rimpatrio allo statista per compiere un’operazione delicata al San Raffaele di Milano.

Sandro Pertini:

Nato a Stella, provincia di Savona, il 25 settembre 1896 da famiglia benestante, fece i suoi primi studi presso i salesiani di Varazze. Ad avvicinarlo al mondo socialista ci pensò il suo professore di filosofia, amico e collaboratore di Filippo Turati, uno dei fondatori del PSI.

Partecipò alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale – fu obbligato da Cadorna a svolgere tale ruolo, dato che voleva rimanere un soldato semplice – e mostrando la sua forza sul campo di battaglia, distinguendosi per atti di eroismo e rischiando anche la vita per colpa di una bomba a gas.

Dopo la fine della guerra, Pertini si unì al PSI; sarà costretto a espatriare clandestinamente in Francia nel 1926, stabilendosi a Nizza dall’anno successivo. 2 anni dopo si sposterà a Ginevra, trasferimento che gli consentì di avvicinarsi alla frontiera con l’Italia, che attraversò nel marzo dello stesso anno. Il motivo del suo rientro fu quello di riorganizzare le file del partito socialista, al fine di stabilire nuovi contatti con gli altri partiti antifascisti.

Sfortunatamente, nel novembre dello stesso anno, mentre si stava recando a un incontro con un altro membro del PSI a Pisa, venne arrestato da un gruppo di camicie nere. Al processo, in cui lui rifiutò di difendersi, venne condannato a 10 anni e 9 mesi di carcere, oltre che a 3 anni di vigilanza speciale.

Nel 1940, nonostante avesse terminato la pena, venne condannato al confino sull’isola di Ventotene, poiché ritenuto come un soggetto pericoloso. Lì incontrò figure di grande rilevanza, come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi (questi due scrissero insieme il celebre “Manifesto di Ventotene”), Luigi Longo (futuro segretario del PCI), Umberto Terracini (futuro presidente dell’Assemblea Costituente) e molti altri.

Pertini riacquistò la libertà il 13 agosto 1943, pochi giorni dopo la caduta del fascismo, riuscendo a ottenere la liberazione anche dei suoi compagni comunisti e anarchici, inizialmente esclusi dal provvedimento di scarcerazione di Badoglio.

Si recò allora a Roma, per contribuire alla rifondazione del PSI, divenendo rappresentante del partito nel CLN. Un giorno, però, dopo una riunione nella sede del partito, venne sequestrato da una banda di fascisti insieme a Saragat, altro esponente del PSI, che li rinchiusero nel carcere Regina Coeli di Roma, venendo condannati a morte. Le Brigate Matteotti, però, riuscirono nell’impresa di liberarli, grazie anche agli altri socialisti che si trovavano detenuti lì.

Liberato, andò sul campo di battaglia, partecipando alla resistenza in tutta la penisola, essendo il rappresentante militare del PSI, coordinando le azioni per la liberazione di varie città come Firenze, Roma e Milano.

Dopo la guerra, si sposa con Carla Voltolina, conosciuta a Torino poiché lei fu una staffetta partigiana. Gli venne, poi, affidata la guida de L’Avanti, oltre che un posto all’interno dell’Assemblea Costituente.

Per il PSI fu sia membro della Camera dei Deputati, di cui fu anche presidente nella V e VI legislatura, sia del Senato. Il tempo passa, e Pertini diventa una figura sempre più autorevole nel panorama della politica italiana. Tanto che quando nel 1978 bisogna eleggere il 7° Presidente della Repubblica in seguito alle dimissioni del democristiano Giovanni Leone, Craxi, segretario del PSI, lo propone per la carica. Solo dopo quindici scrutini andati a vuoto, di cui dodici con la maggioranza dei parlamentari che si astennero o votarono scheda bianca, la pressione dell’opinione pubblica spinse il segretario della DC, Benigno Zaccagnini ad accettare la candidatura di Sandro Pertini.

Il socialista risultò eletto l’8 luglio 1978, al 16º scrutinio, con 832 voti su 995, corrispondenti all’82,3%, la più larga maggioranza della storia repubblicana.

Rimase in carica per tutto il suo mandato, fino al 1985, dentro al quale si susseguirono ben 12 governi. Fu senatore a vita fino al 1990, quando nella notte del 24 febbraio morì all’età di 93 anni.

Gruppi Terroristici

Ordine Nuovo:

Ordine Nuovo nacque nel 1956 come un movimento culturale di destra fondato da Pino Rauti, i cui membri erano fuoriusciti dal Movimento Sociale Italiano (MSI).  Quando nel 1969 Rauti decise di rientrare nel MSI, il gruppo rimase indignato da questa scelta. Perciò, diede vita al al Movimento Politico Ordine Nuovo, divenendo, in pochi anni, il gruppo extraparlamentare di destra più noto e importante del periodo.

Una delle prime stragi, che si può considerare l’inizio degli anni di piombo, fu quella di Piazza Fontana, descritta nei dettagli in un articolo sempre sul nostro sito.  Però, nel 1973, 30 dirigenti del partito furono condannati per ricostituzione del partito fascista e fu decretato lo scioglimento dell’organizzazione. Ciò portò molti militanti estremisti a dar vita ad altri gruppi clandestini e terroristici. Importante diviene un uomo nuovo nel giro di ON, Pierluigi Concutelli, punto di riferimento di questi giovani di estrema destra.

Nell’autunno del 1975 ON si unì per pochi mesi nelle sue azioni con Avanguardia Nazionale. Forse è grazie a ciò che il gruppo di Concutelli si specializza in rapine e sequestri in auto, come capita nell’omicidio di Vittorio Occorsio, il PM del processo ad Ordine Nuovo; sfortunatamente, un’anno dopo le idagini portarono all’individuazione e all’arresto di numerosi ex ordinovisti, Concutelli incluso.

L’azione di Ordine Nuovo va inserita all’interno di quello che è la “strategia della tensione”, una “strategia eversiva basata principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario” (Dizionario Treccani).

Avanguardia Nazionale:

La storia di Avanguardia Nazionale ebbe inizio, in realtà, grazie a un altro gruppo terroristico, Ordine Nuovo; Stefano Delle Chiaie, fondatore dell’organizzazione, fu infatti uno di quegli attivisti che lasciarono il Movimento Sociale Italiano per unirsi al Centro Studi Ordine Nuovo.

Già, però, nel 1958 fondò i Gruppi Armati Rivoluzionari, per protestare contro la dirigenza del gruppo di Pino Rauti, da cui si distaccherà definitivamente un anno dopo. I GAR cambiarono nome in Avanguardia Nazionale Giovanile.

Iniziarono a crearsi tensioni tra AN e i giovani del PCI e del Movimento Studentesco; però, nel 1965, si chiuse la prima parentesi di AN, per via della pressione portata dalle indagini e dalle perquisizioni della polizia. I membri mantengono comunque legami fra loro.

Proprio per questo, nel 1970 Avanguardia Nazionale venne ricostituita, non più sotto la guida di Delle Chiaie, fuggito in Spagna per via della sua partecipazione agli scontri della “Battaglia di valle Giulia”, bensì sotto quella di Sandro Pisano prima, e poi sotto quella di Adriano Tilgher; con la ricostituzione, il gruppo assunse la denominazione finale per cui è nota ancora oggi.

Tra il 1970 e il 1971 molti militanti di Avanguardia Nazionale presero parte ai Moti di Reggio, dovuti allo spostamento del capoluogo di regione da Reggio Calabria a Catanzaro, entrando in correlazione con la criminalità organizzata calabrese. Nel nord Italia, invece, molti avanguardisti, indipendentemente dalle scelte di AN, entrarono in contatto con il Movimento di Azione Rivoluzionaria di Carlo Fumagalli e molti vi entrarono. In questo contesto, durante la notte del 4 novembre 1973 alcuni avanguardisti a Brescia distrussero la sede del Partito Socialista Italiano facendosi arrestare.

Il 5 giugno 1976 il tribunale di Roma condannò gran parte dei dirigenti e degli attivisti di Avanguardia Nazionale per ricostituzione del disciolto partito fascista. Per questo due giorni dopo, Tilgher convocò una conferenza stampa nella quale annunciò lo scioglimento del movimento, che venne poi messo fuori legge dal Ministero dell’Interno l’8 giugno.

Ordine Nero:

Sorse nel 1974, dopo lo scioglimento di Ordine Nuovo e la crisi di Avanguardia Nazionale, raccogliendo l’eredità del gruppo terroristico lombardo “Squadre d’Azione Mussolini”. Gli attentati che fece furono 10, tutti rivendicati attraverso un volantino su cui veniva apposto il messaggio che voleva passare dietro ai loro atti, solitamente contro la sinistra, i sindacati o le istituzioni.

Ordine Nero agiva con la prospettiva di realizzare un crescendo di attentati, diretti verso obiettivi politici o verso lo stato, per portare il paese in una situazione di sempre maggior tensione e quindi favorire un colpo di Stato.

I due attentati più noti furono quello del treno Italicus, che causò la morte di 12 persone – anche se poi, in seguito a una riunione del gruppo a Bellinzona, Ordine Nero decise di non assumersi la paternità e predisponendo i volantini di smentita – e si pensa furono implicati anche in quello di Piazza della Loggia.

Brigate Rosse:

Le Brigate Rosse sono state il più potente, numeroso e longevo gruppo terroristico di sinistra del secondo dopoguerra esistente in Europa Occidentale. Nacquero nel 1970 come un ristretto gruppo rivoluzionario che aveva scelto l’azione diretta come pratica di lotta, facendo, però, riferimento agli altri gruppi armati sorti nello stesso periodo, i Gruppi di Azione Partigiana e il gruppo XXII Ottobre.

A dare vita al gruppo furono alcuni membri della facoltà di sociologia dell’Università di Trento (Renato Curcio, Margherita Cagol, Giorgio Semeria) insieme a giovani del PCI di Reggio Emilia (Alberto Franceschini, Prospero Gallinari e Roberto Ognibene) e del movimento delle fabbriche (Mario Moretti, Corrado Alunni e Alfredo Bonavita).

Nei primi 4 anni di vita, le BR agirono con piccoli gruppi che operavano all’interno delle fabbriche e solo nel centro-nord. I militanti delle BR, oltre a diffondere le proprie idee, presero di mira quadri e dirigenti aziendali, incendiandone le auto o realizzando brevi sequestri, della durata di qualche ora o di pochi giorni, allo scopo di intimidire il rapito e la dirigenza dell’azienda e dimostrare la forza e la spregiudicatezza dell’organizzazione. Significativo era lo slogan da loro usato: Colpirne uno per educarne cento.

Ben presto i loro ideali cambiarono; parole d’ordine diventarono abbattere lo Stato borghese, cacciare gli occupanti statunitensi e imporre l’espulsione della NATO.

Il primo atto rivendicato fu l’esplosione di due taniche di benzina nel box auto del direttore del personale della Sit-Siemens. Stessa cosa, ma più in grande, sarà fatta alla Pirelli, dove furono collocate nella pista di prova pneumatici della fabbrica di Lainate otto bombe incendiarie. In nessuno dei due casi ci furono vittime.

Il primo coinvolgimento di un esponente dello Stato fu il rapimento nella primavera del ‘74 di Mario Sossi, pubblico ministero nel processo contro il gruppo genovese XXII Ottobre. Fu chiesta come riscatto la scarcerazione dei membri del gruppo. Alla fine, fu liberato senza ottenere niente, ma 2 anni dopo ci rimise la vita Francesco Cocco, il procuratore generale di Genova che si oppose fermamente a ogni proposta di riscatto che fecero le BR.

Nel settembre del 1974, però, le forze speciali dei Carabinieri, capeggiate dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa, catturano due dei leader storici: Curcio e Franceschini. Con questi arresti, ci fu la possibilità di porre fine al nascente terrorismo, ma mancò la volontà politica. Si temevano di più le prevaricazioni della polizia contro i manifestanti, al punto da organizzare cortei contro le forze dell’ordine di cui si chiedeva il disarmo, tanto da parlare di «fantomatiche» Brigate Rosse, enfatizzando invece la minaccia dei gruppi neofascisti e neonazisti.

Insomma, le BR vennero sottovalutate; dopo gli arresti, la guida fu presa da Margherita cagol e Mario Moretti. Decisero che era arrivata l’ora di un cambiamento: il lavoro di propaganda e intimidazione nelle fabbriche aveva prodotto risultati modesti; si decise allora di attaccare lo Stato colpendo quelli che ritenevano esserne i rappresentanti, definiti «servi dello Stato»: politici, magistrati, forze dell’ordine.

Dopo l’uccisione della Cagol per colpa di un rapimento andato male, Mario Moretti rimase nei fatti solo alla guida delle BR. Il 27 maggio 1976 iniziò a Torino il processo contro le Brigate Rosse; i brigatisti detenuti, però, rifiutarono il ruolo di imputati, gli avvocati e anche gli avvocati di ufficio, minacciando anche giudici e giuria popolare. Questo comportamento venne chiamato “processo guerriglia”.

A partire dall’anno successivo, le BR intensificarono le proprie attività grazie a una nuova e migliore struttura organizzativa e logistica, all’afflusso di nuovi militanti, oltre che la creazione di due nuove colonne a Roma e Genova. Proprio nella città della Lanterna nel gennaio del ‘77, venne rapito Pietro Costa, appartenente alla nota famiglia di armatori genovesi, che durò ben 3 mesi e portò nelle casse delle BR ben 1 miliardo e mezzo di lire.

A Torino, invece, il 28 aprile venne ucciso Fulvio Croce, il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, portando pochi giorni dopo la Corte d’Assise a sospendere il processo contro le BR.

Ciò, però, non spinse i giudici altrove a cedere sulle pene, che anzi si inasprirono, portando i brigatisti a tornare a uccidere. Dopo una serie di 4 morti, le BR fanno il colpo grosso: dopo l’agguato di via Fani, sequestrarono il segretario della DC Aldo Moro, il cui caso lo trovate descritto in un altro articolo del sito.

Inizia, però, a creparsi il sistema delle BR, con molti militanti che fuoriuscirono dal gruppo, oltre a perdere diversi appoggi; continuarono sempre ad uccidere, ma tra 1979 e 1980 andò in frantumi il fronte unitario del gruppo e venne meno la capacità di agire a livello nazionale. A tagliare ancora di più le gambe alle BR ci pensò lo Stato, con  la legge del 6 febbraio 1980,  che, per la prima volta nel nostro paese, introdusse uno sconto di pena per i terroristi che si pentivano.

Il 1981 risultò cruciale per l’organizzazione, dato che in questo anno venne arrestato Mario Moretti. La situazione interna, divenuta ingestibile, portò il fronte brigatista a spaccarsi in realtà regionali distinte per interessi e obiettivi. Le ultime cellule verranno sradicate nel 1988, grazie all’azione di alcuni infiltrati dei servizi segreti, come alla legge 304 del ‘82 che concedeva ancora più benefici penali ai pentiti rispetto a quella dell’80 di cui si parlava prima. Un’altra ragione dello sfaldarsi delle BR fu il venir meno della loro dell’attenzione verso il disagio sociale e della loro attrattiva  da parte delle aree movimentiste, oltre che del loro progressivo isolamento ideologico durante la seconda metà degli anni settanta, a causa delle trasformazioni sociali in atto.

Ciò non costituisce comunque la fine delle BR, che rinacquero con la denominazione di “Nuove Brigate Rosse” nel 1999, con un obiettivo: uccidere Massimo D’Antona, assassinato nell’99, e Marco Biagi, ucciso nel 2002.

Nel 2007, però, ci fu un maxi-arresto da parte delle forze dell’ordine, che misero dietro le sbarre ben 15 presunti militanti delle NBR. 

Finisce, quindi, così la storia di una delle organizzazioni terroristiche che hanno fatto più scalpore e versato più sangue nel nostro paese, che portarono alla morte, secondo alcune stime, di 84 persone.

Nuclei Armati Proletari:

Fu un gruppo terroristico di estrema sinistra nato nel 1974 a Napoli, che operò principalmente nell’Italia meridionale. Furono soprattutto sensibili alle problematiche carcerarie e dei disoccupati.

I primi atti furono principalmente sequestri e rapine nei confronti figure di spicco o partiti di centro-destra. Nel 1975, però, mentre due nappisti stavano preparando un ordigno esplosivo, saltò in aria l’appartamento dove si trovavano, portando alla morte di uno dei due. Questo fatto, però, consentì alle forze dell’ordine di scoprire altri tre appartamenti-covo, oltre che una moltitudine di documenti dei NAP, che decisero, per questo, di spostarsi nella capitale.

Qui, entrarono in contatto con le Brigate Rosse, con cui compirono alcune azioni, come il rapimento del magistrato di Cassazione Giuseppe di Gennaro.

L’azione dei NAP continua anche nel 1977, con l’omicidio del poliziotto Claudio Grazioso sul bus della linea 27 di Roma e il sequestro di Guido De Maritino, figlio dell’ex segretario socialista Francesco De Martino – per altro, fu molto confusa l’attribuzione di questo atto.

Questo anno sarà l’ultimo di attività dei NAP, anche perché proprio nell’77 la Corte d’Assise di Napoli emise una condanna a 289 anni e 11 mesi di carcere divisa tra 22 nappisti.

Prima Linea:

La storia di Prima Linea ebbe inizio nel 1976, da alcuni membri del partito di Lotta Continua (LC) che criticavano la linea troppo intellettuale dell’organizzazione in favore di un’iniziativa rivoluzionaria più interventista.

Obiettivo costitutivo di PL era quello di rappresentare l’avanguardia delle masse proletarie e del Movimento del ’77, senza tramutarsi in una élite di combattenti, come stava capitando a loro modo di vedere nelle Brigate Rosse.

Il primo omicidio attribuito al gruppo è quello di Enrico Pendovi, consigliere provinciale del Movimento Sociale Italiano – non fu rivendicato da PL, atto che non farà mai per gli altri omicidi che eseguì, ma fu riconosciuto in sede processuale. Seguirà a questo l’omicidio del giovane brigadiere della Polizia Giuseppe Ciotta.

Nel 1977, durante il primo congresso di PL, fu decisa l’organizzazione del gruppo: accanto a un comando centrale, si sviluppava una serie di nuclei locali dotati di una certa autonomia che assicuravano il collegamento con il movimento. Inoltre, si stabilì nero su bianco che PL fosse un’organizzazione in cui politica e lotta armata coincidevano.

Da quel momento in poi, le azioni di Prima Linea iniziarono a moltiplicarsi; principalmente azioni di danneggiamento (es. incendio ai magazzini Sit Siemens e Magneti Marelli), attentati, ferimenti (es. gambizzazione dello Psichiatra Giorgio Coda) e rapine di finanziamento.

Con il 1978 si aprì la stagione dei crimini più famosi dell’organizzazione. Innanzitutto, si unirono nelle loro azioni con le Formazioni Comuniste Combattenti (FCC). Gli attentati di PL non mutarono di natura. Punto di svolta per la storia dell’organizzazione fu l’omicidio di Emilio Alessandrini, sostituto Procuratore di Milano, considerato dai terroristi una spia, il quale all’epoca stava conducendo diverse istruttorie sul terrorismo, anche contro PL.

La piega che sta prendendo l’organizzazione non piace a tutti, non più vicina al movimento operaio, tanto che nel settembre del 1979 avvenne la prima scissione; membri come Marco Donat-Cattin, figlio del segretario della DC Carlo Donat-Cattin (colui a cui è dedicato il sottopasso di Corso Mortara), lasciarono, ritenendo che le contingenze politiche e le attività repressive imponevano di fatto una ritirata strategica ed una stasi dell’operatività militare.

L’azione non sembrò comunque fermarsi, dato che pochi giorni dopo l’assemblea venne ucciso a Torino il responsabile del settore Pianificazione Strategica della FIAT, Carlo Ghiglieno.

Intanto, a novembre dello stesso anno finì l’alleanza con le FCC sempre per via della diversa visione sul rapporto con le BR e della clandestinità.

Nel 1980 PL iniziò a espandersi a Roma, per via di esigenze logistiche per l’intensificarsi dell’azione repressiva e, ovviamente, per diffondere ancora di più il suo messaggio.

Quest’anno, però, viene ricordato soprattutto per il fatto che ci furono i primi pentimenti da parte di alcuni membri, Sandalo (in aprile), Donat-Cattin (in maggio) e Viscardi (in novembre) che contribuiranno all’ondata di arresti che, di fatto, segnerà lo smantellamento della formazione.

Dopo il rinvio a giudizio di ben 95 membri di Prima Linea nel 1981, molti decisero di unirsi alle BR, mentre i maggiori esponenti ancora in libertà si divisero in Nuclei Comunisti Combattenti e Comunisti organizzati per la liberazione proletaria.

La storia di Prima Linea finisce nel 1983 quando, in seguito a una riunione fatta nel carcere Le Vallette di Torino, venne pubblicato il manifesto “Sarà che avete nella testa un maledetto muro”, meglio conosciuto con il nome “Il muro”, in cui venne sancita la rinuncia alle armi. Il suo arsenale fu consegnato simbolicamente un anno dopo all’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini.

 

Attentati Principali

Attentati Neri

Piazza Fontana (1969), Pinelli e Calabresi:

Il 12 dicembre 1969 alle 16.37 una violentissima esplosione causata da una bomba contenente 7 Kg di tritolo devastò la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano. Alla fine si contarono 17 morti e 88 feriti. Iniziò così la strategia della tensione, una trama eversiva che avrebbe insanguinato l’Italia per circa vent’anni. La strategia mirò a seminare il panico , creando le condizioni per una svolta autoritaria nel paese. Furono molti i tentativi di depistaggio riguardo a questo caso e ad oggi non sono ancora stati trovati i colpevoli.

In un primo momento si è pensato che il colpevole fosse il Circolo Anarchico 22 marzo di cui faceva parte Pietro Valpreda, arrestato sulla base della testimonianza di un tassista, Cornelio Rinaldi, che lo avrebbe accompagnato alla banca poco prima dell’esplosione. Il Circolo sarebbe stato aiutato dal Circolo Ponte della Ghisolfa, un altro gruppo anarchico, di cui faceva parte Giuseppe Pinelli, arrestato lo stesso giorno dell’attentato. Dopo tre giorni di duri interrogatori, Pinelli volò giù dalla finestra della questura morendo sul colpo. La magistratura affermò che si è trattato di suicidio a fronte della colpevolezza dell’attentato.

L’orrore di quel 12 dicembre 1969 non finì con il presunto suicidio del presunto esecutore. Alle 9.15 del 17 maggio 1972 Luigi calabresi, il Commissario Capo di Pubblica Sicurezza della Questura di Milano, fu assassinato davanti alla sua abitazione. Nonostante le indagini della Magistratura avessero accertato che Calabrese non si trovasse nella stanza interrogatori insieme a Pinelli, si è continuato a ritenere che lui fosse il colpevole dell’omicidio di Pinelli. Il movimento extraparlamentare di sinistra Lotta Continua alimentava questa campagna martellante, calunniosa e minacciosa contro il Commissario milanese. Sedici anni dopo l’omicidio, un militante del partito Lotta Continua si costituì alla polizia come esecutore materiale dell’omicidio Calabresi e consegnò complici e mandanti. Dopo una serie di processi, le loro responsabilità sono state accertate con sentenze divenute definitive.

Sulla strage di Piazza Fontana sono stati costruiti dieci processi con i conseguenti depistaggi, le fughe all’estero, le latitanze, le condanne e le assoluzioni. A seguito di tutti i depistaggi, si è arrivati alla conclusione che l’attentato era stato pianificato e pensato da ambienti e organizzazioni neo-fasciste, in collegamento con settori “deviati” dei servizi segreti italiani e stranieri. Guido Salvini, Giudice milanese, ha condotto l’indagine istruttoria dal 1989 al 1997 per cui sono stati condannati in primo grado i tre imputati Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni e Carlo Maria Maggi, appartenenti a organizzazioni neofasciste. I tre hanno poi ottenuto l’assoluzione definitiva in Cassazione il 3 maggio 2005. Il Giudice Salvini afferma, però, che tutte le sentenze portano alla conclusione che l’attentato sia stato ideato da una formazione di estrema destra, Ordine Nuovo. Nonostante le assoluzioni è stato ricostruito il vero movente della strage: convincere Mariano Rumor, premier democristiano, a decretare lo stato d’emergenza in modo da insediare un governo autoritario. Anche se sono stati considerati non colpevoli, le responsabilità personali sono state accertate nelle diverse sentenze. Almeno un colpevole c’è: Carlo Digilio. Carlo Digilio era l’esperto in armi ed esplosivi del gruppo veneto di Ordine Nuovo che si consegnò reo confesso alle autorità in quanto ha fornito l’esplosivo necessario per la strage.

Oggi a più di 50 anni di distanza, l’Italia è ancora in attesa di una sentenza che dica con certezza chi furono i mandanti e gli esecutori della strage di Piazza Fontana.

Piazza della Loggia (1974)

Il 28 maggio si tenne in Piazza della Loggia a Brescia una manifestazione indetta da sindacalisti e antifascisti per protestare contro una serie di attentati avvenuti in quella zona. Alle 10.12 del 28 maggio 1974, un ordigno fatto esplodere in un bidone della spazzatura causò 8 morti e 100 feriti. Ordine Nuovo rivendicò l’attentato il giorno prima tramite un messaggio diretto ai quotidiani del Bresciano. Ordine Nuovo, nel messaggio, affermava che con l’attentato si voleva ricordare la morte di Silvio Ferrari, un giovane bresciano limitante in partiti extraparlamentari di estrema destra. Ferrari voleva far esplodere la sede della CISL, ma l’ordigno posizionato sulla sua Vespa esplose prima del tempo e lo uccise. È per questo che i sindacalisti e gli antifascisti hanno indetto la manifestazione del 28 maggio.

Tre anni dopo la strage, Domenico Vino, il giudice istruttore, rinviò a giudizio 30 persone per possesso di armi attentati ed esplosivi. Nove di esse furono rinviate anche in quanto autrici della strage. il 2 luglio del 1979 la Corte d’Assise condannò due dei nove imputati, uno di questi all’ergastolo. Ermanno Buzzi, uno dei condannati, fu ucciso in prigione nel 1981 da alcuni neofascisti in quanto ha collaborato con la polizia e ne era un informatore. Nel 1982 la Corte d’Appello assolse Angelino Papa, l’unico imputato rimasto in vita, per insufficienza di prove. Nel settembre 1987 l’assoluzione fu confermata dalla Corte di Cassazione.

Il 15 maggio 2008 sono stati rinviati a giudizio sei degli imputati principali: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino e Giovanni Manfredi. Tutti appartenenti a Ordine Nuovo e affiliate. Nel 2010’ la Corte d’Assise ha assolto tutti gli imputati per insufficienza di prove. Nel 2014, la Cassazione ha annullato le assoluzioni di Maggi, Tramonte, Zorzi e Delfino. Nel 2015 Tramonte e Maggi furono condannati all’ergastolo.

Treno Italicus (1974)

Nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974, un treno della Italicus stava percorrendo la Roma-Monaco. Il treno partì da Roma alle 20.35 ed era transitato a Firenze a mezzanotte e mezza con circa 23 minuti di ritardo. Erano l’ 1.23 del 4 agosto quando il treno uscì dalla galleria dell’Appennino e quando una bomba esplose e distrusse la quinta carrozza. Il ritardo del treno ha evitato una strage ben più grave di quella che è accaduta realmente. Dall’esame sul timer della bomba si scoprì che sarebbe dovuta esplodere mentre il treno attraversava la galleria e non a 50 metri dall’uscita. L’attentato provocò 12 morti e 48 feriti. Successivamente si scoprì che sul treno sarebbe dovuto salire Aldo Moro, ma un impegno improvviso gli fece perdere il treno.

Il giorno seguente, l’attentato fu rivendicato con un volantino trovato in una cabina telefonica. Questo volantino diceva: “Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti”. Giancarlo Esposti era un militante di estrema destra di Bologna che è stato ucciso durante una fuga da un carabiniere. Dopo il volantino, gli autori dell’attentato telefonarono più volte, in anonimo, al “Resto del Carlino”, il più importante giornale dell’Emilia-Romagna, minacciando la democrazia. Successivamente, si scoprì che l’autore del volantino e delle telefonate era Italo Bono. All’inizio delle indagini gli imputati erano quattro, tutti esponenti di Ordine Nuovo, autore del volantino, ma furono tutti assolti nel 1983. Durante i diversi processi, Mario Tuti, uno degli imputati, se rese autore dell’omicidio del brigadiere Leonardo Falco e dell’appuntato Giovanni Ceravolo. I due poliziotti stavano effettuando una perquisizione nell’abitazione dell’imputato quando quest’ultimo ha preso il fucile e ha cominciato a sparare. Lo stesso omicida si è reso autore dell’assassinio di Ermanno Buzzi, terrorista autore della strage di Piazza della Loggia. Mario Tuti scrisse un documento nel quale si sottolinea la necessità di portare avanti una “lotta nazionale rivoluzionaria volta a disarticolare il sistema”. Questo documento, nelle sentenze, è stato considerato fonte ispiratore dei “Nuclei Armati Proletari”, un altro gruppo terroristico.

Nel processo in appello del 1986, vennero condannati all’ergastolo Mario Tuti e Luciano Franci, due dei quattro imputati. Successivamente, il giudice della Corte di Cassazione annullò le condanne. Nel 1991 sia Mario Tuti sia Luciano Franci vennero nuovamente assolti dalla corte d’Appello, sentenza confermata dalla Corte di Cassazione.

I colpevoli non sono mai stati trovati, ma secondo la commissione parlamentare del 1984 la Loggia P2 offrì un grosso contributo. La Loggia P2 era un’associazione a delinquere e loggia della massoneria italiana che fu sospesa nel 1976 e categorizzata come una vera e propria organizzazione criminale ed eversiva. Fu sciolta definitivamente nel 1982. La Loggia P2 istigò l’attentato e finanziò gruppi della destra extraparlamentare che è quindi gravemente coinvolta nell’attentato al treno Italicus.

Strage di Bologna (1980)

Il 2 agosto 1980 nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna Centrale alle 10.25, un ordigno costituito da 27 Kg di esplosivo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose uccidendo 85 persone e ferendone più di 200. Da molti è considerato l’attentato più grave del secondo dopoguerra. L’esplosione ha causato il crollo di un’ala intera della stazione, investendo in pieno il treno Ancona-Chiassi che stava sostando al binario 1 e il parcheggio dei Taxi.

I soccorsi si attivarono immediatamente e molti cittadini insieme a medici e vigili del fuoco prestarono i primi soccorsi. Dato il grosso numero di feriti e non essendo i mezzi sufficienti, si impiegarono anche gli autobus della linea 37, auto private e taxi. L’autobus 37 e l’orologio fermo alle 10.25 divennero due simboli della strage alla stazione. Nei giorni successivi, la piazza centrale di Bologna ospitò imponenti manifestazioni di sdegno e di protesta da parte della popolazione e non furono risparmiate critiche ai rappresentanti del governo. Il giorno dei funerali, gli unici applausi furono riservati all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini che era giunto a Bologna il giorno della strage. Lui stesso ha affermato: “Non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.

La vicenda giudiziaria conseguente alla Strage di Bologna è molto controversa, complicata e lenta. Come anche per gli altri attentati, l’inchiesta è stata vittima di depistaggi. I processi iniziarono nel 1987, condannando gli imputati. Il processo d’Appello ribaltò la sentenza di primo grado assolvendo tutti gli imputati. In Cassazione vennero condannati all’ergastolo, come esecutori materiali, Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. I due facevano parte dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), un gruppo terroristico di estrema destra attivo dal 1977 al 1981 legato ai NAP. Licio Gelli, ex capo della Loggia P2, Francesco Pazienza, ex agente della SISMI, e i due alti ufficiali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vennero condannati a 10 anni per depistaggio. Nel 2007 venne condannato a 30 anni per l’esecuzione materiale Luigi Ciavardini che all’epoca era ancora minorenne. Ad oggi, restano ancora ignoti i mandanti della strage. Nel 2017 è stato rinviato a giudizio per concorso nella strage Gilberto Cavallini, terrorista dei NAR, e il 9 gennaio 2020 è stato condannato in sentenza di primo grado.

Attentati Rossi

Omicidio del magistrato Francesco Coco (1976)

Il dott. Francesco Coco nacque il 12 dicembre 1908 a Terralba, in Sardegna, e negli anni ‘50 divenne sostituto procuratore presso la corte d’appello di Cagliari impegnato in numerosi processi per sequestro di persona. Successivamente divenne Procuratore generale della Repubblica di Genova affrontando con forza e integrità il riscatto terroristico delle Brigate Rosse che avevano sequestrato Mario Sossi, sostituto procuratore della Repubblica, nel 1974. Durante il suo sequestro, la Corte d’Appello di Genova concesse la libertà  ad alcuni detenuti delle BR alla condizione della perfetta integrità fisica del procuratore. All’atto della liberazione di Mario Sossi, si è constatato che al procuratore erano state inflitte varie lesioni tra cui la rottura di una costola. Il dott. Coco, di conseguenza, impugnò l’ordinanza di scarcerazione ottenendone l’annullamento.

L’8 giugno 1976 il magistrato Francesco Coco stava uscendo dal Palazzo di Giustizia di Genova per tornare a casa insieme a Giovanni Saponara, agente di scorta, e Antioco Dejana, un appuntato dei carabinieri. Una volta arrivati nei pressi dell’abitazione del magistrato Coco e Saponara salgono 42 gradoni. Mentre salivano, tre uomini gli spararono addosso 24 colpi. Nello stesso istante, altri due uomini si avvicinarono alla macchina di Dejana freddandolo. Una di queste armi ucciderà anche Aldo Moro.

Dopo qualche ora gli omicidi vennero rivendicati, con un volantino, dal gruppo “Nuovi Partigiani”. Alla sera dello stesso giorno, una telefonata anonima affermò che il volantino era falso attribuendo la paternità della strage alle Brigate Rosse. Francesco Coco fu la prima persona uccise dalle  BR durante gli Anni di Piombo e il suo omicidio è strettamente collegato al sequestro di Mario Sossi e all’annullamento della scarcerazione firmata proprio dal dott. Coco.

Ancora oggi è dubbia l’identità degli esecutori materiali dell’omicidio Coco.

Omicidio Fulvio Croce (1977)

Fulvio Croce nacque a Castelnuovo Nigra, in Piemonte il 6 giugno 1901 e si laureò in legge nel 1924. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si arruolò negli Alpini e diventò uno dei capi della Resistenza ricevendo anche la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Nel 1968 venne eletto presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino dopo esserne stato consigliere e segretario.

Nel 1976 iniziò a Torino il processo ad alcuni componenti delle Brigate Rosse tra cui Prospero Gallinari, Alberto Franceschini, Renato Curcio e Paolo Maurizio Ferrari. Tutti gli imputati licenziarono i loro legali di fiducia e minacciarono di morte gli avvocati d’ufficio che avrebbero accettato la nomina. Un episodio mai accaduto in precedenza. Il 17 maggio, data della prima udienza, Maurizio Ferrari lesse questo comunicato:

ci proclamiamo pubblicamente militanti dell’organizzazione comunista Brigate Rosse. E come combattenti comunisti ci assumiamo collettivamente e per intero la responsabilità politica di ogni sua iniziativa passata presente e futura. Affermando questo viene meno qualunque presupposto legale per questo processo. Gli imputati non hanno niente da cui difendersi. Mentre al contrario gli accusatori hanno da difendere la pratica criminale antiproletaria dell’infame regime che essi rappresentano. Se difensori, dunque, devono esservi, questi servono a voi egregie eccellenze. Per togliere ogni equivoco revochiamo perciò ai nostri avvocati il mandato per la difesa e li invitiamo, nel caso fossero nominati d’ufficio, a rifiutare ogni collaborazione con il potere […]”.

La Corte assegnò gli avvocati d’ufficio, ma gli imputati fecero nuovamente presente le minacce di morte in caso di nomina. I difensori d’ufficio nominati, allora, rifiutarono il mandato. Il Presidente della Corte, constate le difficoltà della nomina, incaricò Fulvio Croce, il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino. L’avvocato di Torino, pur sapendo i rischi, accettò l’incarico. Alla terza udienza gli imputati riaffermarono il loro rifiuto della difesa leggendo un nuovo comunicato contenente minacce contro Fulvio Croce:

gli avvocati nominati dalla corte sono di fatto degli avvocati di regime. Essi non difendono noi, ma i giudici. In quanto parte organica ed attiva della contro-rivoluzione, ogni volta che prenderanno iniziative a nostro nome agiremo di conseguenza.”

Nel corso della quinta udienza uno degli avvocati sollevò un’eccezione preliminare di incostituzionalità dell’articolo 130 del Codice penale che afferma l’obbligatorietà della difesa anche per un imputato che la dovesse rifiutare. L’avvocato invocò la Convenzione europea per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che attribuisce all’imputato il diritto di scegliersi un difensore o difendersi da solo. In tal caso l’avvocato è chiamato solo come garante della legalità. Tuttavia la Corte, forse anche sotto la spinta dell’omicidio Coco, ritenne infondata l’eccezione di incostizionalità. Fulvio Croce e gli altri avvocati nominati portarono avanti il loro lavoro sotto le costanti minacce dei loro assistiti.

Il 24 aprile del 1977 Fulvio Croce fu atteso nell’androne del suo studio di Torino in Via Perrone da un commando delle BR composto da due uomini e una donna. Fu ucciso con cinque colpi di pistola. Gli esecutori materiali furono Angela Vai, Rocco Micaletto, Lorenzo Betassa  e l’autista Raffaele Fiore.

L’omicidio fu rivendicato dalle Brigate Rosse con una telefonata al quotidiano “La Stampa” e all’ “Ansa”.

Durante il processo vennero uccisi i due investigatori Antonio Esposito, Rosario Berardi, il vicedirettore de “La Stampa” Carlo Casalegno e il brigadiere Giuseppe Ciotta.

Il 20 febbraio 1980 fu arrestato a Torino e condannato a tre ergastoli Rocco Micaletto. Angela Vai fu arrestata e condannata all’ergastolo e Lorenzo Betassa morì in una sparatoria con la polizia.

Omicidio Aldo Moro (1978)

All’inizio del 1978 si giunse al varo di un nuovo governo Andreotti. Il 16 marzo 1978, era in programma la presentazione alla Camera del nuovo governo di cui, per la prima volta, faceva parte anche il Partito Comunista. Nello stesso giorno Aldo Moro, uno dei principali artefici della nuova maggioranza, venne rapito dalle Brigate Rosse a Roma. Durante l’azione che portò al sequestro dell’Onorevole, persero la vita tutti e cinque gli agenti della sua scorta: il Maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi, l’appuntato Domenico Ricci, il Brigadiere Francesco Zizzi, l’agente Raffaele Jozzino e l’agente Giuliano Rivera. Iniziarono così i 55 giorni di prigionia per Aldo Moro e di angoscia per l’Italia intera.

I brigatisti, in cambio di Moro, pretendevano la liberazione dal carcere di alcuni loro compagni. I partiti si divisero. Il PCI difese caldamente l’autorità dello stato rifiutandosi di trattare con i terroristi. Anche la DC, dopo un lungo dibattito che divise il partito, la ragion di stato si impose sulle ragioni umanitarie. Il Partito Socialista, al vertice del quale era salito Bettino Craxi, propose la ricerca di una mediazione con le BR per salvare la vita di Moro.

A un mese dal rapimento, arrivò un comunicato delle Brigate Rosse diffuso a Torino, Genova, Milano e Roma che annunciava la fine del “processo popolare” e la conseguente condanna a morte dell’Onorevole Aldo Moro. Lo stesso Papa Pio VI lanciò un appello alle BR con il quale implorava che venisse restituito.

Nei 55 giorni di prigionia, Aldo Moro scrisse 86 lettere i cui destinatari furono molteplici: dagli esponenti del suo partito alla famiglia senza dimenticare le missive mandate ai quotidiani. Di queste 86 lettere solo alcune arrivarono destinazione, altre non furono mai recapitate e altre ancora furono ritrovate, successivamente nel covo milanese delle BR.

Il 9 maggio 1978 arrivò una chiamata da un esponente della Brigate Rosse, Valerio Morucci che annunciava la morte di Aldo Moro. Il corpo fu fatto ritrovare a Roma nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata simbolicamente tra la sede del PCI e della DC con 11 proiettili nel cuore. L’omicidio di Moro segnò la fase più oscura degli anni di piombo. L’omicidio di Moro, concorrente per la carica di Presidente della Repubblica, costrinse i partiti a cercare un altro candidato. Fu così eletto il socialista Sandro Pertini.

Dopo più di 10 anni di latitanza venne arrestato a Milano il brigatista rosso Mario Moretti sospettato di essere tra gli autori materiali del rapimento di Moro. Successivamente fu condannato a 6 ergastoli.

Si aprì, dunque, a Roma il maxi-processo a carico di 63 militanti delle BR per il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. Il 24 gennaio 1983 la Corte emise la sentenza di ergastolo per 32 brigatisti.

Ancora oggi sono molti i dubbi e poche sono le certezze su chi siano stati gli esecutori materiali dell’omicidio dell’Onorevole Moro.

Omicidio Marco Biagi (2002)

Marco Biagi nacque a Bologna il 24 novembre 1950 e si laureò in giurisprudenza iniziando la carriera universitaria nel 1974 presso l’Università di Bologna. Il Professore Biagi insegnò Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale italiano e Comparato all’Università di Modena. All’inizio degli anni 90 divenne consulente della Commissione Europea e divenne Presidente dell’associazione Italiana per lo studio delle Relazioni Industriali. Nel 2001 venne nominato consulente del ministro del Welfare Maroni e del Presidente della commissione Europea, Prodi.

19 marzo 2002 Marco Biagi stava tornando a casa dalla stazione di Bologna. Giunto davanti al portone fu ferito a morte da diversi colpi di pistola esplosi da una delle tre persone che l’hanno aggredito. Con una telefonata al “Resto del Carlino” le BR rivendicarono l’omicidio. Il Professor Biagi fu consulente di molti Ministri del Lavoro ed era stato il “padre” del “Libro bianco” sul lavoro del governo allora in carica e uno degli artefici del “Patto sul lavoro”. Fu proprio il contributo offerto dal Professore nel creare un nuovo mercato del lavoro a fare di Marco Biagi un obiettivo del terrorismo rosso.

Il 6 dicembre 2006 la corte d’appello confermó l’ergastolo per Diana Blefari Melazzi, Roberto Morandi, Nadia Desdemona Lioce e Marco Mezzasalma, riducendo a 21 anni di reclusione la condanna per Simone Boccaccini.

La risposta dell’arte

Agosto

“Agosto” è una canzone di Claudio Lolli pubblicata nel 1976, due anni dopo l’attentato contro il treno Italicus. Il testo della canzone è una denuncia verso l’attentato che ha causato la morte di 14 persone. Agosto è un testo che esprime i sentimenti di rabbia, di paura, di angoscia che si provavano durante gli anni di piombo: è una canzone che dice “Basta” agli attentati.

Agosto. Improvviso si sente

un odore di brace.

Qualcosa che brucia nel sangue

e non ti lascia in pace,

un pugno di rabbia che ha il suono tremendo

di un vecchio boato:

qualcosa che urla, che esplode,

qualcosa che crolla,

un treno è saltato.

Agosto. Che caldo, che fumo,

che odore di brace.

Non ci vuole molto a capire

che è stata una strage,

non ci vuole molto a capire che niente,

niente è cambiato

da quel quarto piano in questura,

da quella finestra

Un treno è saltato.

Agosto. Si muore di caldo

e di sudore.

Si muore anche di guerra

non certo d’amore,

si muore di bombe, si muore di stragi

più o meno di Stato,

si muore, si crolla, si esplode,

si piange, si urla.

Un treno è saltato.

L’anno che verrà

“L’anno che verrà” è una canzone di Lucio Dalla pubblicata nel 1978. La maggior parte delle persone pensa che questa canzone sia un grido verso la seconda guerra mondiale, ma in realtà non è così. In un’intervista Rai, Dalla spiegò il vero significato della canzone: un grido di speranza che testimonia il periodo difficile degli anni di piombo,  è una lettera di speranza in un futuro migliore.

Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’

E siccome sei molto lontano più forte Ti scriverò

Da quando sei partito c’è una grande novità

L’anno vecchio è finito ormai

Ma qua ancora qui non va

Si esce poco la sera compreso quando è festa

E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra

E si sta senza parlare per intere settimane

E a quelli che hanno niente da dire

Del tempo ne rimane

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno

Porterà una trasformazione

E tutti quanti stiamo già aspettando

Sarà tre volte Natale è festa tutto il giorno

Ogni Cristo scenderà dalla Croce

Anche gli uccelli faranno ritorno

Ci sarà da mangiare per intere settimane

Anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno

E si farà l’amore ognuno come gli va

Anche i preti potranno sposarsi

Ma soltanto a una certa età

E senza grandi disturbi qualcuno sparirà

Saranno forse i troppo furbi e i cretini di ogni età

Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico

E come sono contento di essere qui in questo momento

Vedi vedi vedi vedi

Vedi caro amico cosa si deve inventare

Per poter riderci sopra per continuare a sperare

E se quest’anno passasse in un istante

Vedi amico mio

Come diventa importante

Che in quest’istante ci sia anch’io

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà

Io mi sto preparando è questa la novità

Gli anni di piombo

“Gli anni di Piombo” è un film del 1981 diretto da Margarethe von Trotta. La storia del film è ispirata alle vicende delle sorelle ​​Christiane e Gudrun Ensslin.

Marianne e Julianne, detta Jule, sono due sorelle tedesche nate alla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni Settanta sono impegnate politicamente nell’area di Sinistra ma seguono due strade diverse. La prima, abbandonati il marito e il bambino ancora piccolo, abbraccia la strada della lotta armata, diventando la compagna del leader del gruppo terroristico tedesco Rote Armee Fraktion. La seconda, Jule, lavora per un giornale femminista, non vuole figli, convive con un uomo che la ama molto e non condivide la scelta estrema di sua sorella.

Arrestata Marianne, sua sorella va a farle visita in carcere quando può, subendo umilianti controlli, e i loro colloqui sono trascritti dagli agenti di custodia presenti. Durante il breve tempo che viene loro concesso, le due donne discutono del loro pensiero politico e ricordano la loro infanzia, difendendo le proprie scelte. Scaturisce il profilo di una Julianne adolescente ribelle e di una Marianne coccolata da suo padre, pastore luterano. La vita quotidiana di Julianne è intervallata dalle visite in carcere e i litigi con il compagno, che non tollera tanta attenzione per i detenuti e per Marianne, che a sua volta tratta la sorella con durezza, giudicando le sue posizioni troppo morbide.

Julianne ed il suo compagno sono in vacanza in Italia, quando si apprende che Marianne è stata ritrovata morta in cella. Si parla ufficialmente di suicidio ma Julianne non è convinta, così conduce imperterrita delle proprie indagini finché il suo compagno decide di abbandonarla. Finalmente sicura di avere gli elementi per poter smentire la tesi ufficiale, trova il disinteresse della stampa. Nel frattempo suo nipote, figlio della terrorista, in quegli anni in affido ad altri, sopravvive ad un’aggressione incendiaria da parte di sconosciuti, riportando serie ustioni. Julianne lo riprende con sé. Il bambino vorrebbe rinnegare sua madre ma alla fine chiede alla zia di conoscere la verità.

La denominazione di questo periodo storico si rifà proprio a questo film che tratta l’esperienza storica analoga e contemporanea vissuta nella Germania Ovest.

Io se fossi Dio

“Io se fossi Dio” è una canzone di Giorgio Gaber pubblicata nel 1982. La canzone è una riflessione sulla possibilità che l’autore stesso sia Dio e indaga cosa farebbe e come si comporterebbe se fosse Dio. È ovviamente una canzone dal testo provocatorio che vuole denunciare il ventennio da cui l’Italia è appena uscita: gli anni di piombo. Un ventennio talmente insanguinato che l’autore vorrebbe vivere nel secolo precedente e vorrebbe poter vivere ancora il furore antico. Gaber non ha paura di ammettere, che sia vero oppure no, che è tutta colpa di Aldo Moro e della sua Democrazia Cristiana. Ma Aldo Moro vive ancora. Aldo Moro vive ancora nel ricordo di chi l’ha conosciuto.

Io se fossi Dio

E io potrei anche esserlo

Sennò non vedo chi

Io se fossi Dio

Non mi farei fregare dai modi furbetti della gente

Non sarei mica un dilettante

Sarei sempre presente

Sarei davvero in ogni luogo a spiare

O meglio ancora a criticare

Appunto cosa fa la gente

Per esempio il piccolo borghese

Com’è noioso

Non commette mai peccati grossi

Non è mai intensamente peccaminoso

Del resto, poverino, è troppo misero e meschino

E pur sapendo che Dio è più esatto di una Sveda

Lui pensa che l’errore piccolino

Non lo conti o non lo veda

Per questo

Io se fossi Dio

Preferirei il secolo passato

Se fossi Dio

Rimpiangerei il furore antico

Dove si odiava e poi si amava

E si ammazzava il nemico

Ma io non sono ancora

Nel regno dei cieli

Sono troppo invischiato

Nei vostri sfaceli.

Io se fossi Dio

Non sarei così coglione

A credere solo ai palpiti del cuore

O solo agli alambicchi della ragione

Io se fossi Dio

Sarei sicuramente molto intero e molto distaccato

Come dovreste essere voi

Io se fossi Dio

Non sarei mica stato a risparmiare

Avrei fatto un uomo migliore

Sì, vabbe’, lo ammetto

Non mi è venuto tanto bene

Ed è per questo, per predicare il giusto

Che io ogni tanto mando giù qualcuno

Ma poi alla gente piace interpretare

E fa ancora più casino

Io se fossi Dio

Non avrei fatto gli errori di mio figlio

E sull’amore e sulla carità

Mi sarei spiegato un po’ meglio

Infatti non è mica normale che un comune mortale

Per le cazzate tipo compassione e fame in India

C’ha tanto amore di riserva che neanche se lo sogna

Che viene da dire

“Ma dopo come fa a essere così carogna?”

Io se fossi Dio

Non sarei ridotto come voi

E se lo fossi io certo morirei per qualcosa di importante

Purtroppo l’occasione di morire simpaticamente

Non capita sempre

E anche l’avventuriero più spinto

Muore dove gli può capitare e neanche tanto convinto

Io se fossi Dio

Farei quello che voglio

Non sarei certo permissivo

Bastonerei mio figlio

Sarei severo e giusto

Stramaledirei gli inglesi come mi fu chiesto

E se potessi

Anche gli africanisti e l’Asia

E poi gli americani e i russi

Bastonerei la militanza come la misticanza

E prenderei a schiaffi

I volteriani, i ladri

Gli stupidi e i bigotti

Perché Dio è violento!

E gli schiaffi di Dio

Appiccicano al muro tutti

Ma io non sono ancora

Nel regno dei cieli

Sono troppo invischiato

Nei vostri sfaceli

Finora abbiamo scherzato

Ma va a finire che uno

Prima o poi ci piglia gusto

E con la scusa di Dio tira fuori

Tutto quello che gli sembra giusto

E a te ragazza

Che mi dici che non è vero

Che il piccolo borghese è solo un po’ coglione

Che quell’uomo è proprio un delinquente

Un mascalzone, un porco in tutti i sensi, una canaglia

E che ha tentato pure di violentare sua figlia

Io come Dio inventato

Come Dio fittizio

Prendo coraggio e sparo il mio giudizio e dico:

Speriamo che a tuo padre gli sparino nel culo, cara figlia

Così per i giornali diventa

Un bravo padre di famiglia

Io se fossi Dio

Maledirei davvero i giornalisti

E specialmente tutti

Che certamente non sono brave persone

E dove cogli, cogli sempre bene

Compagni giornalisti avete troppa sete

E non sapete approfittare delle libertà che avete

Avete ancora la libertà di pensare

Ma quello non lo fate

E in cambio pretendete la libertà di scrivere

E di fotografare

Immagini geniali e interessanti

Di presidenti solidali e di mamme piangenti

E in questa Italia piena di sgomento

Come siete coraggiosi, voi che vi buttate

Senza tremare un momento

Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti

E si direbbe proprio compiaciuti

Voi vi buttate sul disastro umano

Col gusto della lacrima in primo piano

Sì, vabbe’, lo ammetto

La scomparsa dei fogli e della stampa

Sarebbe forse una follia

Ma io se fossi Dio

Di fronte a tanta deficienza

Non avrei certo la superstizione della democrazia

Ma io non sono ancora

Nel regno dei cieli

Sono troppo invischiato

Nei vostri sfaceli

Io se fossi Dio

Naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente

Nel regno dei cieli non vorrei ministri

Né gente di partito tra le palle

Perché la politica è schifosa e fa male alla pelle

E tutti quelli che fanno questo gioco

Che poi è un gioco di forza ributtante e contagioso

Come la lebbra e il tifo

E tutti quelli che fanno questo gioco

C’hanno certe facce che a vederle fanno schifo

Che sian untuosi democristiani

O grigi compagni del Pci

Son nati proprio brutti

O perlomeno tutti finiscono così

Io se fossi Dio

Dall’alto del mio trono

Vedrei che la politica è un mestiere come un altro

E vorrei dire, mi pare Platone

Che il politico è sempre meno filosofo

E sempre più coglione

È un uomo a tutto tondo

Che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo

Che scivola sulle parole

Anche quando non sembra o non lo vuole

Compagno radicale

La parola compagno non so chi te l’ha data

Ma in fondo ti sta bene

Tanto ormai è squalificata

Compagno radicale

Cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino

Ti muovi proprio bene in questo gran casino

E mentre da una parte si spara un po’ a casaccio

Dall’altra si riempiono le galere

Di gente che non c’entra un cazzo

Compagno radicale

Tu occupati pure di diritti civili

E di idiozia che fa democrazia

E preparaci pure un altro referendum

Questa volta per sapere

Dov’è che i cani devono pisciare

Compagni socialisti

Ma sì, anche voi insinuanti, astuti e tondi

Compagni socialisti

Con le vostre spensierate alleanze

Di destra, di sinistra, di centro

Coi vostri uomini aggiornati

Nuovi di fuori e vecchi di dentro

Compagni socialisti, fatevi avanti

Che questo è l’anno del garofano rosso e dei soli nascenti

Fatevi avanti col mito del progresso

E con la vostra schifosa ambiguità

Ringraziate la dilagante imbecillità

Ma io non sono ancora

Nel regno dei cieli

Sono troppo invischiato

Nei vostri sfaceli

Io se fossi Dio

Non avrei proprio più pazienza

Inventerei di nuovo una morale

E farei suonare le trombe per il Giudizio universale

Voi mi direte: perché è così parziale

Il mio personalissimo Giudizio universale?

Perché non suonano le mie trombe

Per gli attentati, i rapimenti

I giovani drogati e per le bombe

Perché non è comparsa ancora l’altra faccia della medaglia

Io come Dio, non è che non ne ho voglia

Io come Dio, non dico certo che siano ingiudicabili

O addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili

Ma come uomo come sono e fui

Ho parlato di noi, comuni mortali

Quegli altri non li capisco

Mi spavento, non mi sembrano uguali

Di loro posso dire solamente

Che dalle masse sono riusciti ad ottenere

Lo stupido pietismo per il carabiniere

Di loro posso dire solamente

Che mi hanno tolto il gusto di essere incazzato personalmente

Io come uomo posso dire solo ciò che sento

Cioè solo l’immagine del grande smarrimento

Però se fossi Dio

Sarei anche invulnerabile e perfetto

Allora non avrei paura affatto

Così potrei gridare, e griderei senza ritegno

Che è una porcheria

Che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia

Ecco la differenza che c’è tra noi e gli innominabili:

Di noi posso parlare perché so chi siamo

E forse facciamo più schifo che spavento

Di fronte al terrorismo o a chi si uccide c’è solo lo sgomento

Ma io se fossi Dio

Non mi farei fregare da questo sgomento

E nei confronti dei politicanti sarei severo come all’inizio

Perché a Dio i martiri

Non gli hanno fatto mai cambiar giudizio

E se al mio Dio che ancora si accalora

Gli fa rabbia chi spara

Gli fa anche rabbia il fatto che un politico qualunque

Se gli ha sparato un brigatista

Diventa l’unico statista

Io se fossi Dio

Quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio

C’avrei ancora il coraggio di continuare a dire

Che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia cristiana

è il responsabile maggiore

Di vent’anni di cancrena italiana

Io se fossi Dio

Un Dio incosciente, enormemente saggio

C’avrei anche il coraggio di andare dritto in galera

Ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora

Quella faccia che era

Ma in fondo tutto questo è stupido

Perché logicamente

Io se fossi Dio

La Terra la vedrei piuttosto da lontano

E forse non ce la farei ad accalorarmi

In questo scontro quotidiano

Io se fossi Dio

Non mi interesserei di odio e di vendetta

E neanche di perdono

Perché la lontananza è l’unica vendetta

È l’unico perdono

E allora

Va a finire che se fossi Dio

Io mi ritirerei in campagna

Come ho fatto io

Bibliografia/Sitografia:

  • “Spazio pubblico 3 / Il novecento e il mondo contemporaneo” di Marco Fossati, Giorgio Luppi ed Emilio Zanette edito da Scolastiche Bruno Mondadori

Contesto:

  • “Nel mondo che cambia seconda edizione – Quinto anno/Corso di diritto ed economia per il quinto anno les” di Maria Rita Cattani e Flavia Zaccarini edito da Paravia;
  • Il Sessantotto – Wikipedia (Link);
  • Gli Anni di Piombo – HUB Scuola (Link);
  • Gli anni di piombo – Rai (Link);
  • Anni di Piombo – Wikipedia (Link);
  • Legge n. 304 del 29 maggio 1982 (Link);
  • La stagflazione degli anni Settanta e i suoi insegnamenti di Paolo Onofri – Paradoxa Forum (Link);
  • Stagflazione, il ritorno agli anni settanta: gli errori da non ripetere di Ferruccio De Bortoli – Corriere della Sera (Link).

La Politica Italiana

Partiti

  • Democrazia Cristiana – Wikipedia (Link);
  • Sito Ufficiale Democrazia Cristiana (Link);
  • Partito Comunista Italiano – Wikipedia (Link);
  • La Storia – Sito ufficiale Partito Socialista Italiano (Link);
  • Partito Socialista Italiano (Link).

Volti

  • C’era una volta ALDO MORO: cronaca di una congiura di Stato – Nova Lectio (Link);
  • Aldo Moro – Wikipedia (Link);
  • Caso Moro – Wikipedia (Link);
  • Enrico Berlinguer – Wikipedia (Link);
  • Bettino Craxi – Wikipedia (Link);
  • Sandro Pertini – Wikipedia (Link).

Gruppi Terroristici

  • Ordine Nuovo – Wikipedia (Link);
  • Avanguardia Nazionale – Wikipedia (Link);
  • Ordine Nero – Wikipedia (Link);
  • Diario di un cronista – Terrorismo nero – parte 1 – voglioconoscere (Link);
  • Diario di un cronista – Terrorismo nero – parte 2 – voglioconoscere (Link);
  • Diario di un cronista – Terrorismo nero – parte 3 – voglioconoscere (Link);
  • Brigate Rosse – Wikipedia (Link);
  • Nuclei Proletari Armati – Wikipedia (Link);
  • Prima Linea (organizzazione) – Wikipedia (Link).

Gli attentati

  • La strage di Piazza fontana – Rai (Link);
  • La verità processuale di Piazza Fontana – Focus (Link);
  • Luigi Calabresi – Associazione Italiana Vittime di Terrorismo (Link);
  • Strage di Piazza della Loggia – Associazione Italiana Vittime di Terrorismo (Link); 
  • Il processo di Piazza della Loggia – Corriere della Sera (Link);
  • La strage contro il Treno Italicus – Sky TG24 (Link);
  • La strage contro il Treno Italicus – Associazione Italiana Vittime di Terrorismo (Link);
  • Strage di Bologna – Rai Cultura (Link);
  • Omicidio di Francesco Coco – Associazione Italiana Vittime di Terrorismo – (Link);
  • Omicidio di Francesco Coco – Associazione Nazionale Magistrati (Link);
  • Omicidio Fulvio Croce – Ordine degli Avvocati di Torino (Link);
  • Omicidio Fulvio Croce – Ordine degli Avvocati di Torino (Link);
  • Omicidio Aldo Moro – Rai Cultura (Link);
  • Omicidio Aldo Moro – Sky TG24 (Link);
  • Omicidio Aldo Moro – National Geograpich (Link);
  • Omicidio Marco Biagi – Associazione Italiana Vittime di Terrorismo (Link). 

La Risposta dell’arte

  • Agosto – (Link);
  • L’anno che verrà – (Link)
  • L’anno che verrà – Fanpage (Link);
  • Gli anni di piombo – Wikipedia (Link);
  • Gli anni di piombo – Wikipedia (Link);

Io se fossi Dio – (Link).

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