La cultura dello Scarto

La cultura dello Scarto

Buongiorno a tutti!

Oggi sono tornata con una riflessione, scaturita dall’incontro con l’Evangelii Gaudium di papa Francesco…

Oggigiorno le persone vivono in una società estremamente frenetica e affamata di conquiste e successi, sia in ambito personale che in quello professionale. Molti manuali e la stessa opinione pubblica tendono a definire la società attuale come “basata sul consumismo”. Inevitabilmente l’essere umano, così come qualunque altro essere vivente, produce uno “scarto” una volta terminata la consumazione. Questo fenomeno si è espanso su una scala talmente ampia e grave che molte figure pubbliche hanno iniziato a denunciarne le conseguenti problematiche. Tra questi, un personaggio come papa Francesco ha denunciato già numerose volte questa cultura. In un intervento del 2013, il papa ha utilizzato questo ragionamento per spiegarlo : «Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità». Ma che cosa significa veramente questa “cultura dello scarto”? 

Prima di tutto, è necessario analizzare cosa effettivamente vogliano comunicare queste parole. La scelta dei termini, infatti, non è stata sicuramente casuale: il primo sostantivo, “cultura”, indica un insieme di conoscenze, credenze, arti, morali, diritti, costumi e qualsiasi altra capacità e abitudine di una determinata società. D’altro canto, lo “scarto” è usato con l’accezione di un oggetto che, perdendo di utilità o qualità, viene considerato da espellere. In poche parole, la comunità di oggi tende ad eliminare tutto ciò che risulta poco utile, che non porta un profitto. 

Nella realtà, i campi in cui vengono prodotti materiali-avanzo sono vari. Partendo dal macro al micro ambito, settori quali l’agricoltura e l’industria producono già da sole notevoli quantità di materiale in eccesso. Peraltro, i singoli cittadini contribuiscono ad aumentare l’inquinamento enormemente. L’’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha pubblicato il rapporto del 2020 con risultati scioccanti: secondo i dati da loro raccolti, ogni cittadino italiano in media ha prodotto circa 500 chilogrammi di rifiuti in quel solo anno. Le ragioni per tale cifra sono molteplici. In campo alimentare, è ormai consueto vedere persone che gettano via prodotti agricoli di seconda scelta esclusivamente perché brutti esteticamente oppure perché leggermente battuti o macchiati. In aggiunta, molti consumatori che non riescono a terminare una cena, decidono di buttare via tutto ciò che rimane quando, come si fa già in molte parti dell’Asia, è sufficiente portare a casa l’avanzo (garantendosi così anche un altro pasto). Altro esempio eclatante arriva quando si parla di vestiti: sono numerosi i casi in cui dei capi d’abbigliamento vengono smaltiti solo perché non piacciono più loro oppure sono “passati di moda”. 

Nonostante un tempo il concetto di scarto in senso stretto fosse destinato solo agli oggetti, recentemente si diffonde sempre di più la disposizione ad abbinarlo anche al di fuori di questo ambito. Più precisamente, si sta iniziando a parlare di alcuni esseri umani come scarti. Se da un lato è vero che si cominciò a oggettificare uomo già in passato, come nei periodi di guerra (dove i soldati erano visti solo come numeri, come carne da macello), d’altro lato la versione odierna si è in qualche modo evoluta. Specificamente, ormai quei “numeri” delle guerre quasi non reggono il confronto con la concezione che detiene la società consumistica, poiché oggigiorno gli individui hanno raggiunto un tale livello di indifferenza che dovrebbe allarmare più di uno di noi. 

Quando si passa davanti ad una persona bisognosa come un anziano o qualcuno in difficoltà, gli sguardi di insofferenza sono tantissimi. Altrettanto frequenti sono i casi in cui la morte non viene neanche più temuta e calcolata come si usava fare in tempi antichi: molti notiziari riportano come ogni giorno dei clochards muoiono in mezzo alla strada e di come nessuno se ne sia preoccupato. Emblematico è il film “Hotel Rwanda”, che spiega bene come anche di fronte ad un massacro di un’intera etnia e all’arrivo di questa notizia sul telegiornale, i telespettatori, riuniti per il pasto attorno al tavolo, si limiteranno a guardare impietosi le scene mostrate per poi riprendere tranquillamente la loro attività, come se nulla fosse successo. 

In conclusione, io credo che occorra sradicare questa “cultura dello scarto”, così abominevolmente contro ogni modello antropologico esistente. Ciascun membro di questa società sta pensando sempre di più al proprio bene piuttosto che a quello di chi gli sta attorno (anche banalmente i familiari) e questa ostinata mentalità comune sta sconfiggendo il buon senso, la morale e l’etica del vivere in una comunità. Tutti quanti, presi dalla loro vita frenetica, tendono a focalizzarsi su sé stessi, un po’ come stabiliva la concezione di Giovanni Verga che vedeva l’essere umano come “egoista”. Ciononostante, io credo che l’uomo abbia tutti i mezzi necessari per non farsi travolgere dalla “fiumana del progresso”, non lasciandosi intorpidire dal credo e dalla noncuranza comune. Semplicemente, anche solo con piccoli gesti, è possibile porre il prossimo (se magari non con un “ultimo” citato dal Vangelo, almeno qualcuno meno fortunato di noi, in una situazione di difficoltà) prima di noi, regalando un sorriso, un’azione altruista che possa soccorrerli e risollevarli nei momenti più ardui.  

D’altronde suona paradossale come, con il tempo e lo stesso progresso, siamo riusciti a recuperare e riciclare, almeno in minima parte, gli scarti di cibo, materiali, e molto altro ma perché invece non abbiamo neanche provato veramente a “recuperare” le Persone, esseri umani proprio come ciascuno di noi? 

Follow me!

PAGE TOP