Testimonianza Cosa Nostra

Nell’anniversario della strage di Capaci del 1992 e in concomitanza con la festa di Maria Ausiliatrice del 24 maggio abbiamo potuto ascoltare la testimonianza di Emiliano, nato e vissuto in gioventù a Corleone.

Partendo con la spiegazione della sua vita mise in chiaro subito un concetto: a Corleone la mafia non esiste. Non se ne parla neanche in casa con i propri famigliari. Nel paese nativo di uno dei nuclei mafiosi più potenti, la mafia sembrerebbe non esistere nemmeno. Per questo qui vige una pace assoluta, in cui case e automobili possono essere lasciate incustodite. Un senso di sicurezza è condiviso da tutti. La situazione però cambia dopo la strage di Capaci, quando i più importanti boss mafiosi come Totò Riina vengono catturati. Con la cattura dei boss infatti tornano a Corleone le mogli con le rispettive famiglie.

Corleone diventa il fulcro delle famiglie mafiose, su tutte i Riina e i Provenzano, che sono tornate a vivere qui. Iniziavano quindi a girare in paese i figli dei boss e altri collaboratori mafiosi. Emiliano con amici e parenti assiste a scene non comuni. In particolare il figlio di Totò Riina, Gianni Riina (Giovanni Francesco Riina) impone a diverse persone di alzarsi dai tavoli dei bar e del pub del paese, minacciando una brutta fine a questi ultimi e alle loro famiglie. E un giorno capita lo stesso proprio a Emiliano, che però non si piega e fa notare al figlio di Riina che ci sono tanti altri posti in cui sedersi; Gianni Riina lo guarda ridendo e si allontana.

Inizia così il calvario della famiglia di Emiliano, che viene presa di mira dai mafiosi che giravano a Corleone. Il colpo più duro però lo sferrò il cugino di Emiliano, Giuseppe. Una sera al pub di Corleone entrò Gianni Riina intimando a tutti di allontanarsi dalla zona; il cugino di Emiliano fece notare al figlio del boss quanto in realtà loro due, in qualità di uomini, fossero uguali e sullo stesso piano. Riina tacque e, serio, se ne andò.

Il 28 gennaio 1995 Giuseppe fu ucciso dai mandanti del figlio di Riina. Successivamente anche la sorella di Giuseppe, altra cugina di Emiliano, con suo marito fu trucidata in automobile riuscendo a salvare il figlio.

Da questo momento la vita di Emiliano cambiò per sempre. Paura e terrore lo assalivano ogni qualvolta che sentiva un rumore alle sue spalle o che sentiva nominare il suo nome. Chiese a suo padre di andare via da Corleone, ma gli rispose che, scappando dal paese, i parenti assassinati sarebbero morti una seconda volta. Fuggire significava piegarsi e non onorare il sacrificio (imposto dai criminali) dei cugini. Le indagini furono avviate da subito e, come non sempre accade, portarono risultati soddisfacenti. Gianni Riina e i collaboratori furono arrestati a giugno del 1996; a Riina diedero 3 ergastoli, pari a 90 anni di carcere, per essere stato il mandante di “vittime innocenti di mafia”.

Nonostante la sentenza che diede giustizia alla famiglia, Emiliano decise di partire, arrivando in Piemonte e lavorando come insegnante nelle valli di Lanzo. Ora è sposato e con due piccole figlie a cui, anno dopo anno, aggiunge un piccolo pezzo della cruenta storia che ha insanguinato per sempre il destino della sua famiglia. Corleone non è però stata abbandonata e ancora oggi passa qualche giorno nel paese, ricordando la giovinezza, i luoghi felici e infelici, la propria famiglia e i propri cari. Passeggiando per le vie del paese e al bar incrocia ancora coloro che sono affiliati alla mafia; lo guardano negli occhi, intimandogli di abbassare lo sguardo per far capire che, nonostante il tempo passato, loro comandano ancora. Emiliano guarda fisso nei loro occhi e non abbassa lo sguardo. Pochi secondi che per lui durano un’eternità.

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