LA MAFIA OGGI

Ho sempre pensato che le testimonianze a cui assistiamo e ascoltiamo non abbiano il potere di farci riflettere appieno riguardo al tema che viene proposto. 

Non dico che tutte le testimonianze siano così, ma la maggior parte a cui ho partecipato non hanno saputo prendermi in prima persona e farmi riflettere. Ma questa volta, qualcosa è cambiato. 

Emiliano, il protagonista di questa storia, con il suo modo di esprimersi e interagire con il pubblico, è riuscito a lasciare una parte di sé al pubblico, o almeno a me. Il suo racconto parte dalla sua infanzia, dal suo luogo di nascita e di crescita, Corleone, Sicilia. Qui lui racconta che la sua vita era spensierata e libera e, soprattutto, sicura. Non c’era mai un omicidio, un furto o qualcos’altro che ricordasse un reato. 

La sua vita però cambia quando da giovane incontra il figlio di Totò Riina noto boss mafioso incarcerato, Giovanni. L’episodio si svolge in un luogo aperto. Emiliano e i suoi amici sono seduti e Giovanni va da lui e gli chiede di alzarsi, utilizzando la solita minaccia dei mafiosi, cioè una minaccia alla famiglia. Emiliano, com’era giovane e senza paura, gli risponde di no e allora Giovanni, ridendo, se ne va. 

Da quel momento la sua vita e, soprattutto quella dei suoi familiari, sono in pericolo. La mafia voleva far vedere che era lei quella che comandava e ciò si concretizza in una serie di delitti contro il cugino e gli zii di Emiliano. 

Alla fine il colpevole di questi atti violenti viene incarcerato e lui riesce a salvarsi e a scappare da Corleone, grazie alla sua forza interiore ma anche alla polizia locale che lo ha aiutato. 

Lui adesso vive finalmente una vita libera e sicura, insieme alla sua famiglia, a Torino. 

È molto interessante il binomio che sorge dalla sua narrazione tra la vendetta e il perdono. Lui dice di aver perdonato Giovanni, anche se in fondo Emilio sa che lui lo avrebbe rifatto con altre famiglie, ma intanto lo perdona. La fama di vendetta è stata molto persuasiva ma Emilio non si è fatto influenzare. Lui diceva che chi si vendica con la violenza diventa come loro e lui non voleva essere come loro. 

L’insegnamento che mi porto dietro da tutto ciò è che la vita ti riserva sempre degli imprevisti ai quali bisogna far fronte e da cui non bisogna scappare, a seconda del momento e per questo bisogna viverla appieno, senza avere paura, anche quando è l’unica cosa che resta.

UNA GITA PIENA DI SORPRESE

Tutto è iniziato la notte prima di partire per l’ultima gita di classe, in cui non sono riuscito a prendere sonno. Era abbastanza normale in verità. Di solito la notte prima di un viaggio non riesco mai a riposarmi. Mi sono detto che andava tutto bene e che mi aspettavano ben sei ore di treno da Torino fino alla stazione di Parigi, ma non è andata così. Infatti non ero riuscito a dormire neanche un po’ sul treno. 

Arrivati a Parigi mi sentivo mentalmente stanco, ma voglioso di visitare finalmente la città. 

Appena arrivato in hotel, abbiamo posato la valigia e siamo subito usciti per vedere l’interno della Sainte Chapelle. All’inizio ci sono stati un paio di problemi tecnici, ma alla fine siamo entrati. Subito dopo, abbiamo fatto un giro della città conoscendo in parte la storia di Parigi. Dopodiché, siamo andati a cena in un locale self service. Il cibo non era il più ricercato, ma ci siamo adattati. Infine, abbiamo concluso la prima giornata ammirando il Louvre di sera. 

Il secondo giorno invece abbiamo girato un po’ per la città, visitando un altro quartiere di Parigi. Ci siamo spostati nella zona di Pigalle e Montmartre, ammirando il Moulin Rouge e la vista dall’alto su Parigi. Dopo pranzo, invece, siamo entrati al Musée d’Orsay in cui abbiamo potuto rivedere alcune opere già analizzate in classe e molte altre nuove, incontrando artisti come Courbet, Renoir, Monet, insomma i principali artisti impressionisti e realisti, ma non solo. 

Il terzo giorno è stato il più lungo e, forse, il più pesante. Al mattino abbiamo visitato i Jardin des Tuileries e successivamente siamo entrati al Louvre. E’ stata un’impresa aspettare in coda, ma alla fine siamo riusciti ad entrare. Al suo interno sono rimasto impressionato dalla vastità di opere d’arte che contiene e dalla grandezza di ciascuna di esse. Ci siamo soffermati maggiormente sulle opere analizzate precedentemente in classe, senza escludere altre e numerose opere che incrociavamo lungo la nostra quasi infinita visita (che poi era durata circa un’ora e mezza). Successivamente, dopo il pranzo, divisi in gruppi, ci siamo dati tre destinazioni differenti: un gruppo si era diretto verso il cimitero Père-Lachaise, un altro verso il quartiere de La Défense e infine l’ultimo, in cui c’ero anch’io, all’Orangerie. L’Orangerie è un museo in cui si possono ammirare dipinti stesi su lunghe strisce di parete. Al centro delle poche sale che ospitavano tali dipinti c’erano una sorta di divani che aiutavano a osservare e a concentrarsi sulle opere esposte. Scendendo di un piano, vi era una zona ristoro con bar e vi era anche sistemata un’ulteriore mostra, comprendente numerosi artisti, quali Picasso e altri anche italiani. 

Finalmente o sfortunatamente, era questa la sensazione che provavo all’alba dell’ultimo giorno: finalmente è finita, dovuto dalla stanchezza o sfortunatamente è finita, causato da un sentimento di infelicità. Ma come è consuetudine dire, tutto è bene ciò che finisce bene. Ma non era ancora finita la nostra esperienza in Francia infatti, dopo colazione, ci siamo spostati nel quartiere latino visitando anche la zona delle università e dei locali dove pranzare, sia per i turisti sia per i residenti. Qui abbiamo assistito anche a una sorta di manifestazione dei netturbini. Dopo il tempo libero e il pranzo, siamo tornati all’hotel e, prese le valigie, ci siamo diretti verso la stazione dei treni di Parigi. Saliti sul treno, ci restavano circa sei ore e saremmo tornati a casa, a Torino. 

Questa doveva essere la fine, ma purtroppo non è andata proprio così. Abbiamo avuto un ritardo di circa due ore e, in più, mi sono capitate due disgrazie: la prima, una valigia mi è caduta dal vano porta valigie su una gamba e la seconda è che l’altra gamba era tutta impregnata da un succo di dubbia provenienza che qualcuno/a mi aveva rovesciato, senza accorgermene e senza che quello/a me l’avesse fatto notare. 

Apparte tutto, è stata una gita piena di emozioni e di sentimenti positivi e negativi, ma come è giusto che sia. Mi ha fatto molto piacere vivere quest’ultima esperienza con i miei compagni di classe o, per meglio dire, amici. 

Ecco. Questa è la vera conclusione.

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