MI PRESENTO

Un titolo così semplice per un argomento così complesso: come si può riassumere 19 anni della vita di una persona nero su bianco in un articolo di un blog?

Potrei iniziare elencandovi tutte le mie qualità, i miei punti di forza e ignorare le difficoltà, ma sono proprio quelle che plasmano gli uomini. La reazione di fronte ai problemi e la loro risoluzione esprime molto di più una persona rispetto a quei momenti di tranquillità apparente nei quali sembra di essere in attesa, sospesi, aspettando il compiersi della vita.

Se ripenso a tutto quello che è successo negli ultimi 5 anni che ho vissuto una sola parola mi sorge alla mente: cambiamento.

Sono cambiata e maturata sotto ogni aspetto della mia vita, a partire dal piano fisico, forse quello più riconoscibile e immediato, fino a quello spirituale e mentale.

Nel tempo ho cambiato il mio modo di vedere le cose di sperimentare la vita, non sono più quella bambina timida e impaurita che ero alle elementari, o quella strana e goffa delle medie, sicuramente alle superiori non sono ancora diventata la versione migliore di me stessa, ma ci sto lavorando.

Da piccola molte volte mi è stato detto di non parlare, che ero “ingombrante” o che semplicemente quello che avevo da dire non era importante, ma ora so che non è vero.

Ero arrivata ad un punto in cui davvero credevo che era meglio se fossi rimasta in un angolo in silenzio, a guardare le altre persone sperimentare la loro vita e vivere degli scarti che lasciavano. 

Ma mi sono resa conto che quello era solo sopravvivere.

Non potevo aspettare che qualcuno sarebbe venuto magicamente a salvarmi come il principe azzuro delle favole e quindi ho deciso io stessa di diventare quel cavaliere.

Ho preso in mano la mia vita, iniziando finalmente a decidere per me stessa.

Ho cominciaro a lavorare su me stessa e sul migliorarmi, non per me stessa, ma come sorta di vendetta per le persone del mio passato, per mostrare quanto fossi migliorata da quando mi ero allontanata da loro. Senza rendermene conto mi sono rinchiusa in una bolla di finta perfezione e compiutezza per non mostrare al mondo quanto in realtà fossi stata ferita.

Era più facile cercare di tenere tutto sotto controllo, valutare ogni mossa, ogni situazione e ogni possibile conseguenza in modo da non lasciare nulla al caso, era facile, finche non è lo è stato più e non ha iniziato a schiacciarmi il peso di ogni cosa.

Ero diventata soffocante per le persone che mi stavano accanto, ogni cosa era diventata una continua competizione, dovevo sempre dimostrare di essere la migliore per non tornare ad essere invisibile, avevo deciso che era meglio farmi “terra bruciata” attorno che tornare a vivere come prima, solo che non avevo effettivamente realizzato quanto sola mi sarei sentita.

La mia armatura era sempre lì, indurita da anni di rabbia repressa e paura di mostrarsi al mondo, ma iniziava a scheggiarsi perchè non riusciva a reggere il peso delle responsabilità e dello stress che mi autoinfliggevo. 

Le crepe aumentavano e spiraglio dopo spiraglio aumentava la mia paura, fino ha quando ha preso il sopravvento e sono partita, quasi come se stessi scappando, in Irlanda.

Lì nessuno mi conosceva, era la mia chance di ricominciare e l’ho colta.

L’armatura così come l’avevo creata l’ho tolta e mi sono mostrata, forse per la prima volta al mondo, in un paese straniero, come la vera me. Ho scoperto che Emma non era così male.

Il vero problema è sorto una volta tornato in Italia, quando mi sono ritrovata ad essere divisa in due: la versione “precisa e puntuale” di me che tutti conoscevano e la nuova Emma, la versione più “goffa e vera” che nessuno aveva mai visto.

Senza neanche pensarci ho indossato nuovamente la mia vecchia armatura, ma non avevo realizzato che proprio come io ero cambiata, anche le persone accanto a me lo erano e non dovevo più dimostrare niente a nessuno.

Così ho deciso di provare e togliere pezzo per pezzo tutto quello che mi opprimeva.

Tutto questo non sarebbe mai potuto accadere se non fosse stato per le mie amiche e la mia famiglia. Penso che l’insegnamento più grande che mi hanno donato i miei genitori è il seguente: “Non dimenticarti di guardarti attorno, noterai quante persone ci sono accanto a te”. 

Ho capito che non ero sola, anzi che non lo sono mai stata. 

Ero circondata da tante persone che tenevano a me e che me lo dimostravano quotidianamente, anche solo con la loro presenza. 

Ho realizzato che potevo effettivamente farmi vedere per quello che ero, errori compresi e che se qualcuno mi avesse giudicato per quello che ero non era una mia mancanza, ma solo un loro punto di vista.

Questo cambiamento non è stato facile, ho avuto paura, mi sono arrabbiata, ho litigato con molte persone, ma questo non ha fatto altro che aiutarmi a migliorarmi e a crescere come persona.

Ho sempre reputato più importanti le azioni rispetto alle parole ed è per questo che nel mio blog non troverete molte riflessioni strappalacrime o commenti filosofici sul senso della vita, ma in qualche modo troverete me, il mio percorso e in cosa mi sono “sporcata le mani” negli ultimi 3 anni”, spero vi piaccia perchè a me è piaciuto un sacco vivere e rivivere questi momenti.

L’INIZIO O LA FINE?

Se c’è una cosa che ho davvero imparato quest’anno è la difficoltà del dire addio.

Non ci può preparare in nessun modo, nessuno ti può insegnare come farlo, ti ci ritrovi e basta. Un secondo prima sei sui banchi di scuola con i compagni di classe a ridere e scherzare su quanto sia lontana la fine della scuola e in un battito di ciglia sei abbracciato a quei stessi compagni mentre senti suonare la campanella che segna la fine dell’ultimo anno di scuola della tua vita.

Non importa quanto ti sei ripromesso di non piangere e di sembrare forte, in quel momento sei un fiume in piena di emozioni e i ricordi degli ultimi 5 anni si affollano nella tua mente. Ti guardi attorno e vedi riflessi nelle facce del tuoi compagni il tuo stesso sorriso pieno di speranza e paura per il futuro, ma noti anche qualcos’altro nello sguardo di tutti, un’unica domanda, alla quale tu stessa non riesci a darti una risposta: “E’ davvero finito tutto?”

E in quel momento il tempo si ferma. 

Ti sembra quasi di non riuscire a respirare talmente è travolgente il sentimento che provi, la gola si secca e ti ritrovi lì, fermo in mobile ad aspettare. 

Non sai neanche tu cosa, ma sei lì.

Aspetti che qualcuno ti dica cosa fare, cosa dire, dove andare, aspetti che qualcuno ti faccia un segno e ti indichi la via, e invece niente.

Sei circondato da moltissime persone, ma allo stesso tempo ti senti solo, la tua mente si svuota completamente per poi essere inondata da una marea di domande sul tuo futuro, sulla tua vita e su cosa ti aspetta, fino a che qualcuno non ti prende per mano e ti trascina in un abbraccio.

Tutta la l’angoscia e la paura che ti attanagliavano spariscono in un secondo, ti riguardi intorno e realizzi che le persone che ti stanno stringendo non sono dei semplici compagni di classe, sono diventati amici, quasi una famiglia e sono coloro con i quali hai condiviso un percorso e camminato insieme per 5 anni.

Compagni di scuola non ci si sceglie ma ci si diventa, compagni di vita invece si decide di diventarlo. 

Non è un addio quindi, ma un arrivederci, un “ci vediamo dopo”, abbiamo condiviso troppo per lasciarci andare ora. 

E IL MIO FUTURO?

Ultimamente sembra diventata la missione della mia vita rispondere a questa domanda.

Anche in questo momento mentre sto scrivendo questo articolo sento le sinapsi del mio cervello scollegarsi ad una ad una nella speranza di evitare di trovare una risposta, perchè è questo che sto facendo da parecchi mesi a questa parte: minimizzo, rispondo con frasi vaghe e reindirizzo la conversazione su un terreno neutrale in modo da non pensarci. 

La verità è che me la sto facendo sotto. 

La paura di sbagliare è talmente pressante che preferisco rimandare fino a che non è troppo tardi, scelgo di non scegliere come direbbe il filosofo Søren Kierkegaard, e aspetto che succeda qualcosa, qualsiasi cosa.

Finisco per essere come Zeno Cosini, un inetto travolto dagli avvenimenti della vita, dando potere del mio futuro agli altri.

La verità è che non so cosa fare della mia vita.

Ascolto tutti i miei coetanei raccontarmi del loro futuro, dei loro piani, dei loro progetti di vita e tutti sembrano così sicuri di loro stessi che mi sento inadeguata.

Mi sento bloccata tra ciò che ero e ciò che potrei essere e non so cosa fare.

Il consiglio che ricevo più spesso è: “Fai qualcosa che ti renda felice”, ma come faccio a sapere che cosa è? 

Esiste davvero un momento in cui una persona realizza di essere veramente soddisfatta di se stessa, senza dubbi o insicurezze? Non saprei rispondere a questa domanda, ma ora capisco perchè Maslow ha deciso di inserire proprio l’autorealizzazione in cima alla “piramide dei bisogni” e non il denaro o degli oggetti materiali.

L’obiettivo finale sembrerebbe essere quello di realizzare a pieno le proprie potenzialità, di imparare scalare a poco a poco questa piramide, che sembra insormontabile vista da quaggiù, ed essere in gardo di arrivare in cima.

E così che ho realizzato che non  si può vivere il futuro proiettandosi in una visione di se stessi senza viverne ogni momento.

Ogni giorno diventa una sfida quotidiana per diventare una versione migliore di noi stessi, sono i momenti che compongono la nostra vita, non la meta finale.

Così ho deciso di vivere la mia avventura, un passo dietro l’altro, uno per volta, per non perdermi nessun momento di questa mia fantastica vita che mi è stata concessa. 

Magari questa non è la risposta o la starda giusta per me, però so che è una decisone che ho preso io e so che mi porterà lontano. Forse cambierò percorso, prenderò scorciatoie o inciamperò, ma qualsiasi cosa accadrà la affronterò con coraggio, perchè so che non sono sola in questo cammino.

Qualunque sia il fine della mia vita, so che lo sto cercando e non mi fermerò fino a che non lo avrò trovato.

TIROCINIO

Spesso si tende a sottovalutare l’intelligenza e le capacità dei bambini.

Le tipiche interazioni tra adulti e bimbi, soprattutto quelli dell’età evolutiva, si basano sul gioco e sul dialogo che spesso è caratterizzato da frasi come: “Aspetta, lascia fare a me tu non riusciresti”, “Fai attenzione, sei troppo piccolo per questo”, “Fermati, ti fai male, sei solo un bambino”.

Gli adulti tendono ad imporsi sui bambini, limitano la loro espressione e li rilegano in un ruolo di fanciullo poco sano che non permette la loro realizzazione come individui.

Questo sfortunatamente è l’atteggiamento che ha caratterizzato i primi incontri e rapporti con i bambini del tirocinio della scuola elementare.

A inizio anno, grazie alla professoressa Calabrese, ho avuto la possibilità di partecipare ad un percorso di tirocinio della durata di 10 ore nella classe 1B della Scuola primaria “Maria Ausiliatrice”.

L’attività veniva svolta il lunedì dalle ore 10.00 alle ore 12.00: la prima mezz’ora era dedicata all’intervallo, durante la successiva ora e mezza io e le mie compagne, Gaia e Valentina, assistevamo la Maestra Martina durante le lezioni di italiano.

Sono rimasta colpita fin da subito dalla dolcezza dei bambini e dalla loro gioia nell’ apprendere che non li abbandonava mai.

Durante le ore di lezioni abbiamo imparato diverse lettere dell’alfabeto (la D, la F e la T), abbiamo creato le parole con queste lettere e utilizzando i dittonghi abbiamo composto le parole.

Speso utilizzavamo schede, forbici o colla per rendere lo studio più dinamico e divertente, e nonostante apprezzassi questo metodo di insegnamento mi sentivo sempre passiva e tendevo a prendere i cartoncini o le matite per rendermi utile e mostrare il lavoro.

Solo successivamente, mettendomi nei panni dei bambini stessi mi sono resa conto dell’errore che stavo commettendo e di come avrei potuto migliorarmi per avere un impatto positivo sui fanciulli.

Ho potuto stare con i bimbi sia durante il momento delle lezioni frontali, propedeutiche e inerenti a sviluppare le conoscenze acquisite durante il mio percorso di studi, sia durante i momenti di intervallo e di laboratorio, diciamocelo, i più divertenti.

Ho sperimentato come il vero momento per legare con i bambini non sia in classe, ma sia durante i momenti di gioco e pausa nel quale i bimbi ti integrino come uno di loro e di come anche una attività come “rialzo” (un gioco simile ad “acchiapparella”) possa farli veramente divertire in modo semplice e genuino.

L’incontro che ha segnato il mio percorso di tirocinio è stata quello con Jacopo, un ragazzo affetto da autismo che ho affiancato durante le lezioni svolte insieme. Ho avuto l’onore di entrare, anche se per poco, a far parte del suo mondo, di aiutarlo a relazionarsi con gli altri e in qualche modo a creare una relazione tra noi due.

Jacopo ha evidenti problemi relazionati dati dalla sua condizione, ma per aiutarlo al meglio io e le mie compagne di classe abbiamo creato “Il quaderno della comunicazione”, un quaderno che attraverso la tecnica della CAA permette alle persone affette da autismo di comunicare ed esprimere i propri bisogni.

Il momento più bello e più significativo di tutto il tirocinio è stato quello del laboratorio esperienziale: a seguito degli studi fatti in classe su Maria Montessori abbiamo elaborato delle attività specifiche per ogni classe per coinvolgere i ragazzi in una attività diversa dal solito. 

DUBLIN

How do you know when you are happy? Is there a moment where you realise that you are experiencing true happiness?

I don’t know if someone can realise it when they are living it: multiple philosophies and poets had tried to concentrate on this feeling or lock it in a specific period, but they all failed.

But perhaps I think I did it.

On the 25th of April 2022 I left my life behind me and I started my journey in another country: Ireland. I will never thank my parent enough for letting me go and allowing me to participate in the exchange students program.

Since the beginning, I perceived something I have never seek in my life: peace.

Even if I had during my stay some problems related to the language or the accommodation (I had to change host family once because they couldn’t take care of me properly) I always felt peace and confidence about myself and the situation.

I have met wonderful people there in Ireland and it makes me laugh thinking that none of us was supposed to be there in the first place: all of us for different reasons were rejected/couldn’t go to the location where we wanted to be, and so we all converge there together.

All these amazing people taught me something different and I realised that I didn’t have to camouflage myself as someone different to be appreciated by others and that I am enough just as I am.

I will forever remember my eighteen birthday: even if I was abroad my family came to visit me and shared with my new friend this special occasion.

Ireland is an amazing country: full of joy and life and I am grateful for all the things that I accomplished there.

I have to say that it’s true what all the people say: sometimes it’s not hard to say goodbye to your previous life, but it’s worse to leave a reality that you know will never come back.

The 16th of September was honestly one of the worse day of my entire life: I cried my heart out because all the memories and the special events that I took part in and all the people that I had to say goodbye to, but we promised that we would visit each other very soon so that it wouldn’t be a farewell, but just a see you later alligator.

CAA

La CAA, acronimo di Comunicazione Aumentativa Alternativa, è un insieme di tecniche e strategie utilizzate per aiutare le persone affette da difficoltà di vario genere, soprattutto quelle legate alla difficoltà di comprensione e del linguaggio, a comunicare i loro bisogni e le loro necessità in modo autonomo.

Questa tecnica non si pone come un sostituto alla comunicazione, ma come un supporto e un aiuto. È una strategia relativamente recente che risale agli anni ’60 ma che ha iniziato a circolare maggiormente solo nell’ultimo periodo a causa di vecchi stereotipi e pregiudizi sul mondo delle difficoltà cognitivo-relazionali.

La CAA si basa sull’utilizzo delle PECS (Picture Exchange Communication System) come strumenti visivi di supporto per la comunicazione, le quali sono in grado di rappresentare ogni tipo di oggetto o situazione del caso.

Durante questi mesi io e le mie compagne di classe, in preparazione al tirocinio, abbiamo realizzato per Jacopo, un bambino con un disturbo dello spettro autistico nella classe in cui ho svolto il tirocinio, “Il quaderno della comunicazione”, il suo personale quaderno strutturato completamente con la CAA, all’interno diviso in sezioni relative alle regole, ai numeri, alle lettere, alle materie, agli ambienti e ai bisogni.

Abbiamo selezionato manualmente tutte le PECS da Arasac, il sito web certificato per i pittogrammi, li abbiamo stampati, plastificati, ritagliati e sul retro di ogni immagine abbiamo applicato il velcro, che permette di staccare e ricollocare i tasselli in totale autonomia.

Questa tecnica mi ha aiutato tantissimo a entrare in relazione con Jacopo, a poter comunicare con lui senza invadere i suoi spazi, ma riuscendo a farmi capire e lui a esprimersi in libertà senza essere frenato dalla barriera linguistica. 

ALASSIO

A inizio anno ho avuto modo di fare da animatrice ai ragazzi e alle ragazze di prima media dell’Istituo Maria Ausiliatrice. 

Ho accettato senza esitazione e sono partita, insieme a Sara Saccenti e Gabriele Longo, alla volta di Alassio.

La struttura ci ha ospitato per un paio di giorni durante il quali abbiamo volto varie attività improntate a iniziare bene l’anno scolastio e ad un pò di sano divertimento in spiaggia.

Non dimenticheò mai la faccia dei ragazzi quando gli abbiamo detto che avremmo fatto il bagno al mare nonostante fosse fine Settembre! 

Mi sono divertita veramente un mondo, ho passato dei momenti fantastici e non dimenticherò la bellissima alba che abbiamo avuto la fortuna di vedere!

BEREAL

Bereal è un’applicazione dove gli utenti possono condividere momenti della loro giornata e mostrare in tempo reale quello che stanno facendo.

La caratteristica che l’ha resa famosa è che il consumatore non può decidere quando postare la foto: l’algoritmo infatti sceglierà casualmente un’ora della giornata e gli utilizzatori dell’app avranno 2 minuti di tempo per scattare la fotografia e immortalare il momento.

Un anno di Bereal un anno di BeEmma:

FESTE A SCUOLA

Non sempre realizzo quanto sono fortunata ad andare a scuola al Maria Ausiliatrice.

Certo, ci sono molti punti negativi e molti aspetti dei quali potrei lamentarmi, ma voglio concentrami su uno degli aspetti che più apprezzo di questa scuola: le feste.

So può sembrare stupido, ma soprattuto nell’ultimo anno ho apprezzato tutti quei momenti che la scuola ha ceato per permettere agli studenti al di fuori del contesto di insegnamento e del mostrarsi non solo come un luogo di apprendimento, ma anche un ambito dove creare dei ricordi. 

Porterò sempre nel cuore tutte le risate e i momenti gioiosi trascorsi in questi momenti speciali.

PARIS

My first and last school trip: Paris.

It was the first time ever in this wonderful city. I was completely mesmerized by the buildings and the architecture that makes the city as beautiful as a work of art.

Now I could just say all the things that we visited like the incredible museums of the Louvre, the d’Orsay or the Eiffel Tower, but let’s cut the chase: you will find all these pieces of information in all of my classmate’s blogs.

What really shocked me was the atmosphere we created as a group. I really believed that someone would have caused a scene or started to be dramatic, but instead we were fully connected with each other and we really bonded on another level.

I fianlly had the opportunity to start new friendship with classmates I didn’t normally talk to and I discovered how some of them are not really that bad.

It’s incredible how this city really transformed us, i wish we had more opportunities like this.

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