Qualsiasi esperienza può sempre risultare utile per la propria vita, mentre molte altre sono importanti per anche per la vita degli altri. È il caso del primo soccorso. Capita per strada di imbattersi in qualcuno che sta male, che ha bisogno di aiuto, e può succedere che in alcune di queste situazioni ciò che facciamo risulta essere l’ago della bilancia tra la vita e la morte di una persona.
Il professor Tonus, di educazione fisica, ci ha dato l’opportunità di imparare come comportarci in queste situazioni. Ci siamo concentrati sulla morte cardiaca improvvisa, ossia un arresto cardiaco che spesso conduce alla morte.

Il cuore è una pompa elettromeccanica che spinge il sangue lungo tutto il corpo, fino al cervello, ma se smette di funzionare il cervello rimane a secco ed inizia a deteriorarsi a velocità paurose, perdendo ogni minuto il 10% delle sue capacità.

La tempestività è essenziale ma soprattutto lo è la corretta esecuzione, a partire dall’approccio.
La parte più importante da ricordare è che perché il soccorritore possa effettivamente aiutare… deve rimanere in sicurezza. Perché ciò accada è necessario che egli effettui un’attenta analisi del luogo, della zona, in modo da non trovarsi in pericolo e di conseguenza per non mettere in pericolo la persona da soccorrere.
La seconda cosa da fare è una valutazione attenta della persona da soccorrere. Prima di tutto bisogna capire se ha subito traumi, ed in caso allertare i soccorsi e seguire le loro indicazioni. Secondo passo è verificare se è cosciente e o no. Generalmente di afferrano e si percuotono i fianchi, senza causare ulteriori danni, cercando di chiamare la persona, di fare domande come: “Mi sente? Riesce a sentirmi?”. In caso non sia cosciente allora proseguiamo la nostra valutazione: respira? Il torace deve essere scoperto e i nostri occhi devono essere fissi su di esso guardandolo in orizzontale, quindi al livello del terreno, del corpo stesso, così da riuscire a vedere se il respiro comprime ed espande il petto. Se non respira è il momento di chiamare i soccorsi. La descrizione da fare è semplice: un uomo/donna/anziano/bambino a terra, primo di sensi e che non respira. Senza dimenticare l’indirizzo di dove ci si trova. Passo successivo è coinvolgere qualcuno che possa aiutarci. Se siamo in strada qualcuno che si riunisce attorno a noi ci sarà sicuro. Per coinvolgere una persona possiamo chiederle il nome, richiedere dei feedback per vedere se è lucida e affidabile. In caso può essere lei a chiamare il pronto soccorso, così che il nostro intervento possa iniziare. Successivamente possiamo fare la stessa identica cosa, coinvolgere ancora la stessa persona o una terza per trovare un defibrillatore. In città i defibrillatori sono geolocalizzati su un’applicazione ma generalmente in farmacie e palestre si trovano.
Nel mentre il nostro intervento inizia: 30 compressioni toraciche e 2 respirazioni bocca-bocca e il processo ricomincia. Per le compressioni bisogna identificare lo sterno, incrociare le dita ponendo il palmo come base per le compressioni. Devono essere tra le 100 e le 120 al minuto, circa due al secondo, spingendo lo sterno in profondità per circa 6 o 5 centimetri. Chiaramente non si può misurare con un righello ma con le compressioni iniziali, dette “di prova”. Capisco quando sono al limite perché oltre quel limite, lo sterno, non va. È un’attività faticosa, estremamente faticosa e se fatta nel modo sbagliato causerebbe problemi alla schiena. LA spinta infatti deve essere fatta con l’ausilio di glutei e di addominali. Può essere interrotta per alcuni motivi specifici: lo sfinimento fisico è uno di questi, perché la sicurezza del soccorritore è importante. Per l’arrivo dei soccorsi ma anche per la riuscita rianimazione del soggetto.
La situazione cambia quando finalmente arriva il DAE, il defibrillatore.
Da usare non è complesso. In quelli moderni vi sono all’interno le istruzioni e non solo, c’è anche una guida vocale. All’accensione bisogna vedere se le luci sono verdi, quindi se è attivo e seguire le indicazioni vocali.
Gli elettrodi andranno posizionati sul sotto clavicolare destro e sul fianco sinistro. A questo punto il soccorritore si allontana dal corpo e suo dovere è far allontanare tutti quanti, in modo che nessuno lo tocchi minimamente. Il DAE inizia l’analisi della persona. Se ci fosse un contatto con altri corpi l’analisi sarebbe errate e di conseguenza le contromisure. Una volta completata la scansione la domanda da farsi è: la scarica è consigliata? In caso non lo sia si riprende subito con il massaggio cardiaco, con le compressioni. Non è una buona notizia ma tutti meritano la possibilità di sopravvivere, benché remota. Il massaggio lo mantengo fino all’arrivo dei soccorsi, ma continuo ad ascoltare il defibrillatore, che ogni due minuti effettua una nuova scansione, e allora mi riallontanerò momentaneamente dal corpo. In caso la scarica sia consigliata la prima cosa da fare è far allontanare tutti. La scarica deve essere indirizzata solo alla persona che non respira. Se qualcun’altra ne venisse a contatto fisico con la scossa oltre a farsi male renderebbe inefficacie la scarica. Appena sicuri che nessuno è a contatto con il corpo si procede con la scarica. Appena effettuata riprende il massaggio cardiaco per i due minuti successivi, prima che si riattivi il DAE, e il processo continua fino alla riuscita rianimazione o all’arrivo dei soccorsi.
Il rischio di causare danni alla persona che stiamo aiutando è alto, quasi sicuro ma alla fine non c’è danno peggiore della morte. Aiutare almeno chiamando i soccorsi è un dovere, ma la manovra si effettua solo se si è in condizioni mentali e fisiche di farlo, senza dimenticare che chiunque, indipendentemente dalla sua storia, merita una seconda possibilità, merita di poter vivere, come tutti noi.

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