Vita di Corleone

Oggi, 23 maggio, si ricorda la strage di Capaci a trentuno anni di distanza. Per questo Emiliano, originario di Corleone, è venuto nella nostra scuola per parlare della sua esperienza con la mafia. Nipote di un mafioso, Emiliano ha deciso di prendere le distanze dalle azioni di suo nonno ed ha avuto il coraggio di dire “no” alla mafia. 

Nella Corleone degli anni ‘90 bastava un cognome ed una minaccia per cedere il posto al bar a qualcuno. Questo successe ad Emiliano, il quale rifiutò di alzarsi per dare il suo posto a Gianni Riina, ed a suo cugino Giuseppe, che fece la stessa cosa ed in più fece riflettere Gianni sul motivo delle sue azioni. Ma come dice Emiliano, i mafiosi non sono abituati a riflettere, loro preferiscono vedere i fatti. Farli sedere al tuo posto significava dargliela vinta, Giuseppe ed Emiliano non lo fecero e ne pagarono le conseguenze. 

Si iniziò a pensare che dietro la famiglia di Giuseppe si celasse un progetto per il rapimento di Gianni Riina, niente di tutto ciò era vero. La voce bastò a Riina, il quale incaricò Leoluca Bagarella con il compito di eliminare la famiglia. Così, dopo l’omicidio di Giuseppe seguì quello di sua sorella Giovanna e suo cognato Francesco. Emiliano viveva con il terrore, non riusciva più ad uscire di casa. Oltre alla paura, dentro di lui, sentiva dentro di lui un sentimento di vendetta. Pure i suoi amici presero le distanze da lui e dalla sua famiglia, per evitare di essere coinvolti. Emiliano non li ha mai biasimati.

Fortunatamente, il 24 giugno 1995, Bagarella fu arrestato, e la famiglia di Emiliano poteva lentamente ricominciare a vivere. Ma un arresto non bastava a ricucire le ferite della perdita di tre familiari. Non avrebbe mai cancellato dagli occhi di Emiliano l’immagine di suo cugino in una pozza di sangue, senza vita, per terra, nel negozio di famiglia. Non avrebbe fermato quegli stessi occhi dal diventare lucidi, dopo ventotto anni, mentre racconta la vicenda a un centinaio di ragazzi.

Nonostante ciò, il dolore non fermò Emiliano dal vivere la sua vita, che dopo la tragedia aveva assunto un valore più importante, dall’uscire di casa a testa alta. Non lo fermò neanche dal perdonare la mafia della sua città. 

Infatti, un suo amico cominciò a visitarlo dopo gli omicidi per supportarlo. Il rapporto con questo amico fu fondamentale per riprendere la sua vita in mano. Lo aiutò ad abbandonare l’idea della vendetta, perchè se avesse continuato a concentrarsi su questa avrebbe sprecato la sua vita. Grazie a lui, ha anche compreso che lui non aveva niente di cui vergognarsi. Le morti dei suoi cugini non erano colpa sua. Non doveva temere né i mafiosi, né gli altri abitanti di Corleone quando usciva di casa. Queste riflessioni furono necessarie per Emiliano e per riuscire a raggiungere il perdono verso coloro che hanno ferito la sua famiglia. 

Oggi Emiliano vive nelle valli di Lanzo ed insegna religione alle scuole medie. Continua a ricordare e condividere la storia della sua famiglia, per mantenere viva la memoria dei suoi parenti, ma anche per ispirare i giovani a non chiudere gli occhi davanti all’ingiustizia e all’illegalità. Quando torna a Corleone, va al bar, ed incontra i figli di Riina e Provenzano, Emiliano gli guarda negli occhi. Ogni volta che non abbassa lo sguardo dimostra coraggio. Conferma il suo perdono nei loro confronti.
Perchè, alla fine, i mafiosi hanno tolto la vita ai suoi cugini, ma dovranno comunque convivere ogni giorno della loro esistenza da soli con la coscienza macchiata dall’omicidio, dal rancore, e dalla rabbia. La potenza e il rispetto che credono di avere, sono dovute alla paura. Poche, se non nessuna, delle persone che gli stanno vicino sono lì perché gli vogliono veramente bene; la maggior parte lo fa per sentirsi al sicuro e non vivere nel terrore. I mafiosi hanno basato la loro vita su questo, e la vera sfida sta a loro, ed è quella di perdonare loro stessi.

Categories: Competenza Sociale

PAGE TOP