È questa l’eudaimonia?

17 May 2023 Off By fmanzon

Durante questa gita a Parigi ho provato diversi momenti di felicità, a partire dalle risate fatte perché Samuel, il topo, è rimasto incastrato sotto la porta della stanza nel tentativo di scappare, a quando ci hanno cacciato dal cimitero di Père Lachaise con una campanella, come se fossimo delle mucche.

La parola felicità, in greco, ha due connotazioni: la prima è òlbios, che rappresenta la ricchezza che rende agevole la vita, la seconda, invece, è eutychés che richiama la buona (eu) sorte (tyche) che si occupa di proteggere la tua salute. Sono fortune concrete da apprezzarsi nelle cose sostanziali, come riuscire a contarsi tutti una volta usciti dalla metro, senza aver perso nessuno lungo la strada o averlo lasciato in mezzo alle porte.

Le parole eutychés e òlbios dicono che la felicità è più personale, legata al proprio bene. Qui, i greci intervengono per correggere questa visione egoistica con il daìmon, il demone, che, come un angelo custode, oltre a proteggerci consigliando i beni e le azioni da evitare, ci aiuta a trovare i nostri veri talenti, a farli fiorire per poterli anche donare al prossimo. Il demone greco guida il comportamento verso la realizzazione di sé: qui nasce l’eudaimonìa, la felicità che deriva dalla fioritura della nostra parte più autentica.

L’ eutychìa, o buona sorte, ha dato prova di sé nel condurci sani e salvi in albergo, ogni sera, nonostante gli svariati tentativi del professor Miolano di perderci tra le vie della metro. Ci ha anche portato in soccorso i francesi più scorbutici, colpiti da pietà dopo averci visti smarriti.

L’òlbos, che è la felicità più materiale, si è occupata di soddisfare i nostri bisogni fisici, come il farci ritrovare, ogni sera, la nostra stanza da letto in albergo, senza mai neanche un topo, o nel riempirci lo stomaco, pur con qualche disavventura con il cibo, che ci ha fatto trascorrere delle notti in bianco.

Invece ho avuto il piacere di gustare l’eudaimonìa, la felicità più autentica, insieme ai miei amici e compagni, quando ci siamo trovati davanti a dei paesaggi mozzafiato, o davanti al Louvre, di notte. Questi momenti mi hanno fatto sentire sospesa per un istante, senza fiato per il dono che abbiamo ricevuto dal daìmon di artisti ed architetti che hanno offerto al mondo l’opportunità di fruire delle loro opere d’arte, frutto dei loro talenti.

Come non ricordare l’Arco di Trionfo, le opere del Louvre e dell’Orsay o gli artisti di oggi seduti nella Place du Tertre a dipingere scorci e ritratti, che magari ritroveremo nei musei di domani.

Altre connotazioni della parola felicità ci sono offerte dai Latini; tra i tanti io ne vorrei evidenziare due in particolare: felix e contentus.

Felix è una ramificazione della parola greca phyo, generare; va quindi a indicare la donna che dona la vita ed è fonte di sostentamento.

Per i latini la possibilità di donare la vita, che fosse degli alberi o delle persone, è fonte di felicità, in contrasto con il prevalente significato odierno: felicità non è avere ma è donare. Nel mio piccolo ho riscontrato questa sfaccettatura nei piccoli gesti di cortesia quotidiana tra noi compagni. Ad esempio, quando ho deciso di “donare” un caffè, in un baretto con vista su Notre-Dame che, con mia grande sorpresa, ha sfiorato la soglia dei 3 euro!

Contentus è invece colui che si fa bastare ciò che possiede, che cerca di trovare soddisfazione nelle piccole cose. Come non ricordare quindi le risate fatte tra una spiegazione e l’altra, o l’assaporare una crêpe alla nutella, o il riuscire a bere un tè dopo che la commessa mi ha portato due caffè perché non aveva capito l’ordinazione, o meglio ancora parlare in inglese, sentirsi rispondere in francese, ma capire lo stesso la risposta.

Ogni occasione è buona per essere felici e la gita è sicuramente una delle migliori. Abbiamo avuto la possibilità di interfacciarci con la cultura francese, la storia, l’arte e la letteratura. Abbiamo esercitato la nostra pazienza stando in piedi per ore davanti a opere d’arte spettacolari, abbiamo imparato ad apprezzare le cose che solitamente si danno per scontate, come il cibo, ma sicuramente, più di tutto, abbiamo apprezzato la compagnia gli uni degli altri.

Su ogni viaggio, solitamente, si possono spendere mille parole per raccontarlo ma anche se arricchite con foto e aneddoti generalmente non bastano mai. L’unica cosa è viverlo davvero, godersi il momento, innamorarsi del posto, dei paesaggi, della cultura, delle memorie e delle piccole cose che ti hanno circondato ogni volta che eri lì.

Fonte: libro di Marco Balzano, Cosa c’entra la felicità?